Letteratura italiana

La poesia nel ‘900

Negli anni presi in esame la produzione lirica appare fortemente influenzata dal Decadentismo. A cavallo tra i due secoli è la poesia di Gabriele D’Annunzio, con i suoi toni altisonanti e declamatori, a costituire un imprescindibile punto di riferimento, ma il Novecento si apre all’insegna della radicale rottura con la linea dannunziana, espressa da Crepuscolarismo e Futurismo, sebbene entrambe le tendenze siano ancora collocabili nel solco della sensibilità decadente.

Il Futurismo Nel Manifesto tecnico della letteratura futurista (1910) Filippo Tommaso Marinetti suggerisce di rompere ogni lega- me con le forme poetiche tradizionali, inaugurando la formula delle «parole in libertà», disposte nel cosiddetto «verso libero» senza vincoli di sorta, «senza alcun ordine convenzionale, senza fili sintattici e senza le soste forzate della punteggiatura». I futuristi mostrano una particolare predilezione per l’analo- gia, che consente di associare immagini apparentemente estranee e lontane creando suggestive corrispondenze; ricorrono, infine, a una vera e propria “rivoluzione tipografica”: attraverso l’utilizzo di diffe- renti caratteri intendono evidenziare alcune parole rispetto ad altre o dispongono le parole stesse in modo da riprodurre visivamente le immagini descritte. Vero e proprio maestro di tali espedienti è Guil- laume Apollinaire, autore della nota raccolta Calligrammi (Calligrammes, 1918). Tra i poeti futuristi ricordiamo Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), autore della raccolta Zang Tumb Tumb (1914), definita «poema parolibero»; Aldo Palazzeschi (1885-1974), pseudonimo di Aldo Giurlani, che pubblica la famosa raccolta di poesie dal titolo L’incendiario (1910) per poi distaccarsi decisamente dal Futurismo; Corrado Govoni (1884-1965), la cui adesione alla poetica futurista è evidente in raccolte come Poesie elettriche (1911), Inaugurazione della primavera (1915) e Rarefazioni e parole in libertà (1915).

Il Crepuscolarismo La definizione di quella che nella poesia italiana del primo Novecento costituisce una tendenza più che una vera e propria scuola o teoria viene coniata da Giuseppe Antonio Borgese in un famoso articolo pubblicato nel 1910 sulla rivista «La Stampa», in cui il noto critico recensiva le liriche di alcuni giovani poeti, tra cui Marino Moretti. I crepuscolari elaborano una poesia dal tono particolarmente dimesso e nostalgico, che prende le mos- se dalle piccole cose, dai sentimenti che nascono nel quotidiano, da un costante rimpianto per il tempo andato e dallo struggimento, venato di sottile ironia, che scaturisce dall’impossibilità di poterlo rivivere. Il linguaggio riflette il carattere essenzialmente languido e malinconico della poesia crepuscolare, per cui, anche nel generale ricorso al verso libero, il dettato poetico assume spesso un andamento prosastico e collo- quiale (emblematico il frequente ricorso agli enjambement), risultando talvolta piatto e ripetitivo. Poeti crepuscolari sono Gozzano, Moretti e Corazzini.

Partendo da un’iniziale adesione al modello dannunziano (La via del rifugio, 1907), Guido Gozzano (1883-1916), il maggiore e più for- tunato rappresentante del Crepuscolarismo, con le liriche della raccolta Colloqui (1911), in cui ricostruisce la sua esperienza autobiografica, riesce ad approdare, mediante l’azione corrosiva dell’ironia, a risultati decisamente originali. Particolarmente nota è la poesia L’amica di nonna Speranza, che proietta l’autore nella dimensione dei ricordi, in un ambiente piccolo-borghese ormai lontano, dove le «buone cose di pessimo gusto» ispirano attrazione e al contempo ripulsa.

Come si evince dalle raccolte Poesie scritte col lapis (1910) e Poe- sie di tutti i giorni (1911), la produzione lirica di Marino Moretti (1885-1979), sempre pervasa da una sottile ma pregnante ironia, si incentra sul ricordo del passato e sulla descrizione della vita quoti- diana, spesso caratterizzata da ansia e insoddisfazione. Lo stile si presenta fortemente prosastico, teso quasi a “mimetizzare” i modi del parlato e ad annullare la forma poetica.

Morto giovanissimo di tubercolosi, Sergio Corazzini (1886-1907) è autore della raccolta Piccolo libro inutile (1906), contenente Desolazione del povero poeta sentimentale, poesia-simbolo del Crepuscolarismo ed emblematico esempio di anti-dannunzianesimo. Ne pro- poniamo qui di seguito i versi (1-5) più noti.

Perché tu mi dici poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. Vedi: non ho che lagrime da offrire al Silenzio. Perché tu mi dici: poeta?

Altre esperienze Del tutto personali e quindi non riconducibili a nessun movimento in particolare sono i risultati della ricerca poetica di autori come Campana, Rebora e Sbarbaro.

Dino Campana (1885-1932), personaggio dalle tormentate vi- cende esistenziali, dovute a una cronica instabilità mentale, pubblica nel 1914 i Canti orfici, in cui perviene a un lirismo assolutamente nuovo, tutto proteso a voler riacquistare certe antiche valenze magi- co-incantatorie. Qui di seguito proponiamo alcuni versi (1-9 e 21-26) della lirica La Chimera.

Non so se tra rocce il tuo pallido viso m’apparve, o sorriso
di lontananze ignote
fosti, la china eburnea

fronte fulgente e giovine
suora de la Gioconda:
o delle primavere
spente, per i tuoi mitici pallori
o Regina o Regina adolescente […]

Non so se la fiamma pallida fu dei capelli il vivente

segno del suo pallore,
non so se fu un dolce vapore, dolce sul mio dolore,
sorriso di un volto notturno.

Clemente Rebora (1885-1957), autore di raccolte come Frammenti lirici (1913) e Canti anonimi (1922), ricorrendo a un linguaggio dalle tinte fortemente espressionistiche, intende manifestare quell’ansia di ricerca della verità che connota anche la sua intensa esperienza autobiografica.

Camillo Sbarbaro (1888-1967), in Pianissimo (1914) e nelle prose poetiche Trucioli (1920), propone una poesia dal tono dimesso, fatto di un linguaggio scarno e disadorno, limitato all’essenziale, il tutto a sostenere una concezione fondamentalmente pessimistica della vita e un’intima sofferenza esistenziale che, riflesse talvolta nell’aspro paesaggio ligure, anticipano la poesia di Eugenio Montale.

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