Letteratura italiana

A Zacinto

Scritto tra il 1802 e il 1803, il sonetto è dedicato alla madrepatria Zacinto (nome greco dell’isola di Zante, parte delle isole Ionie al largo del Peloponneso), cantata dal poeta anche ne Le Grazie, con espressioni e immagini che ritroviamo anche in questo componimento. Celebrata non soltanto come patria natale ma anche come patria ideale, eternata dagli antichi miti greci e dalla poesia omerica, il poeta ne piange la lontananza e profetizza per sé la sventura di un esilio perpetuo(l’”illacrimata sepoltura”, appunto). Dopo l’appassionata evocazione dell’isola chi scrive si identifica con Ulisse, l’esule per eccellenza, e Zacinto diventa così l’Itaca di Foscolo, patria agognata ed idealizzata al tempo stesso (e mai riconquistata). La poesia, che si fa strumento cardine della memoria e della celebrazione letteraria delle proprie origini, si conclude però con un secco pensiero di morte, espressione del pessimismo foscoliano: il poeta ricorda come ognuno di noi si avvia verso una sepoltura annunciata e “illacrimata”, ricollegandosi così al tema principale dei Sepolcri.

Metro: sonetto con schema ABAB ABAB CDE CED. La folta presenza di enjambements dilata spasmodicamente la struttura dell’endecasillabo e del sonetto stesso, costruito su due soli periodi(il primo, che occupa le quartine e la prima terzina, e il secondo, confinato come sentenza finale, ai vv. 12-14).

  1. Né più mai  toccherò le sacre sponde
  2. ove il mio corpo fanciulletto giacque ,
  3. Zacinto mia , che te specchi nell’onde
  4. del greco mar da cui vergine nacque
  5. Venere , e fea quelle isole feconde
  6. col suo primo sorriso , onde non tacque 
  7. le tue limpide nubi e le tue fronde
  8. l’inclito  verso di colui che l’acque
  9. cantò fatali , ed il diverso esiglio 
  10. per cui bello di fama e di sventura
  11. baciò la sua petrosa Itaca Ulisse .
  12. Tu non altro  che il canto avrai del figlio,
  13. materna mia terra; a noi  prescrisse
  14. il fato illacrimata  sepoltura.

Parafrasi

  1. Io non toccherò mai più le sacre rive
  2. dove trascorsi la mia fanciullezza, 
  3. Zacinto mia, che ti specchi nelle onde
  4. del mare greco da cui vergine nacque 
  5. Venere, e rese quelle isole feconde
  6. con il suo primo sorriso, e per questo non si esentò
  7. dal descrivere le tue nubi e la tua vegetazione
  8. la poesia immortale di Omero, che 
  9. cantò i lunghi viaggi per mare voluti dal fato e il procedere
  10. in direzioni contrarie, grazie ai quali Ulisse, reso bello dalla
  11. fama e dalle sventure, riuscì a baciare la sua rocciosa Itaca. 
  12. mia terra natale, tu non avrai altro che il canto di tuo figlio;
  13. a noi il destino ha prescritto una tomba
  14. sulla quale nessuno giungerà a versare le sue lacrime.

Né mai più: la triplice negazione rafforza l’idea dell’impossibilità del ritorno e crea un effetto di sospensione meditativa iniziale. Come evidenziò De Robertis, “pare che il poeta, cominciando, continui un discorso fatto tra sé e sé”. Il primo periodo si snoda attraverso due quartine e per la prima terzina, a creare un andamento solenne, sostenuto peraltro dall’anafora dei tre nessi relativi (“onde […] di colui che […] per cui”).

 sacre: l’aggettivo si carica di significati, per quanto relegati – conformemente all’ideologia del Foscolo – ad una posizione tutta immanentistica e laica. Le rive di Zacinto sono sacre in quanto hanno assistito alla nascita di Venere, ma anche, più genericamente, perché Zacinto si colloca in Grecia, patria di miti e della bellezza, e perché egli ebbe modo di trascorrervi la fanciullezza. C’è infine una sacralità che le deriva dal suo stesso essere oggetto poetico, grazie al valore eternante e sublimante della poesia. Il “nativo aer” veniva definito “sacro” già nell’ode All’amica risanata (vv. 91-92).

 giacque: il corpo fanciulletto del Foscolo “giace” tra le sacre sponde di Zacinto, come se queste fossero in grado di cullarlo.

Zacinto mia: il vocativo è rafforzato dall’aggettivo possessivo, dal forte valore affettivo.

 nacque Venere: il mito della nascita di Venere è narrato da Esiodo nella Teogonia.

 col suo primo sorriso: allusione all’epiteto greco della deaphilommeidés, “amante del sorriso”, cui si aggiunge la prerogativa della dea ad essere fonte di vita.

onde non tacque: poiché nel mare di Zacinto nacque Venere, l’isola fu celebrata dal cantore delle peregrinazioni di Odisseo, cioé Omero, considerato come il padre della creazione poetica. “Non tacque” è litote (una figura retorica per cui si definisce qualcosa negandone il contrario), a sottolineare l’impossibilità di tacere l’irresistibile bellezza e rigogliosità di quelle isole, feconde proprio grazie al “primo sorriso” di Venere.

 Già in una nota alle Grazie, il poeta ebbe a dire che Omero e Virgilio lodarono l’isola “per la beltà de’ suoi boschi, e la serenità del cielo”.

 inclito: dal latino inclitus, a, um, “mai sconfitto, immortale”. 

 fatali: i mari verso i quali Odisseo fu sospinto per volere del fato.

 diverso esiglio: letteralmente “vario esilio”. “Diverso” è infatti latinismo da divertus (dal verbo diverto, “volto in varie direzioni”).

 Odisseo personifica l’eroe ideale nella concezione titanica del Foscolo, nel quale gloria e sventura si fondono, e anzi maggior gloria pare nascere proprio da maggiore sventura.

 non altro: “soltanto”. La perifrasi si adatta perfettamente alla solennità del dettato.

 a noi: il pronome non è un semplice plurale maiestatis, ma ha la funzione di includere tutti coloro che sono accomunati da un medesimo destino.

 illacrimata: in quanto nessuno vi spargerà mai sopra le sue lacrime.

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