Letteratura italiana

Luigi Pirandello

Vita e opere

Secondogenito di Stefano, commerciante di zolfo, e Caterina Ricci Gramitto, nacque a Girgenti (Agrigento dal 1927) il 28 giugno 1867, in una cascina detta ‘il Caos’ dal nome di un intricato bosco (u vuscu du Càvusu), per cui amò autodefinirsi «figlio del Caos». 

Il padre, palermitano e ultimo di una numerosissima famiglia di ascendenze liguri (di Prà), fu con Giuseppe Garibaldi insieme al fratello della futura sposa, Rocco Ricci Gramitto, il cui padre, Giovan Battista, avvocato e poeta, dopo la rivoluzione del ’48, per le sue posizioni antiborboniche e separatiste, era morto in esilio a Malta. 

Luigi trascorse l’infanzia a Girgenti, tra un padre sanguigno e autoritario, una madre affettuosa e una domestica (Maria Stella) aperta alla dimensione spiritica. Inizialmente molto religioso, si allontanò dalla Chiesa per un evento da lui traumaticamente vissuto come segno di ipocrisia e poi narrato in una novella del 1913, La Madonnina.

Dalla lettura delle tragedie di Silvio Pellico prese avvio la sua passione teatrale, con la stesura di una tragedia (perduta), Barbaro, e l’allestimento di un teatrino fra coetanei. Dopo l’istruzione elementare impartitagli privatamente, nel 1878 fu iscritto dal padre alla regia scuola tecnica di Girgenti, ma durante un’estate preparò, all’insaputa del padre, il passaggio agli studi classici. In seguito a un dissesto economico, la famiglia si trasferì a Palermo, dove il quattordicenne Luigi frequentò il regio ginnasio liceo Vittorio Emanuele II e dove rimase anche dopo il rientro dei suoi, nel 1885, a Porto Empedocle, iscrivendosi, nel 1886, contemporaneamente alle facoltà di lettere e di legge. A Palermo si innamorò di una cugina maggiore di lui, Lina Pirandello, per amore della quale tentò anche di lavorare un’estate con il padre nelle zolfare di Porto Empedocle. 

Il soggiorno a Palermo fino al 1887, con la sua vivace attività teatrale, fu importante nella formazione intellettuale del giovane per i maestri che frequentò e gli incontri che vi fece, come quelli con Girolamo Ragusa Moleti, tra l’altro studioso di tradizioni popolari, e con il letterato ed erudito Giuseppe Pipitone Federico. Oltre agli interessi drammaturgici, coltivò la vena lirica, all’inizio sulle orme di Carducci, Rapisardi e Stecchetti, ma gran parte degli scritti di allora o furono perduti o finirono bruciati in un rogo delle sue carte nel marzo 1887, compresa una commedia, Gli uccelli dell’alto, in cui gli spettatori erano coinvolti nella recita. 

Nel novembre 1887 passò alla facoltà di lettere della Sapienza di Roma, abitando nella zona del porto di Ripetta (scenario poi del Fu Mattia Pascal), inizialmente presso lo zio materno Rocco Ricci Gramitto, modello quindi per la delusa figura di patriota di Roberto Auriti ne I vecchi e i giovani. Falliti i tentativi di far rappresentare altri suoi lavori drammatici, licenziò la sua prima raccolta di versi ispirata, nell’antinomico titolo, alle Stanze del Poliziano: Mal giocondo (Palermo 1889), che, oltre a Giosue Carducci, Gabriele D’Annunzio e gli scapigliati, aveva fra i principali modelli Arturo Graf e Giacomo Leopardi, autore, quest’ultimo, destinato a lasciar traccia nel pensiero e nell’intera opera di Pirandello. 

Nel novembre 1889, dopo uno scontro con il professore di latino, Onorato Occioni, si trasferì all’Università di Bonn con una lettera di presentazione di Ernesto Monaci, docente di filologia romanza, per il professor Wendelin Förster. Un nuovo amore nacque con Jenny Schultz-Lander, figlia della sua padrona di casa, cui dedicò la sua seconda raccolta lirica, Pasqua di Gea (Milano 1891), ispirata alla rinascita primaverile ma non priva di accenti funebri. Da Bonn collaborò con il settimanale fiorentino Vita Nuova di Angiolo e Adolfo Orvieto, dove, tra l’altro, rifacendosi al Proemio di Graziadio Isaia Ascoli, polemizzò con il manzonista Pietro Mastri (anagramma di Pirro Masetti) sulla scelta del fiorentino quale lingua nazionale (Per la solita quistione della lingua, 9 novembre 1890).

Il 21 marzo 1891 si laureò con una tesi sul dialetto di Girgenti, Laute und Lautentwickelung der Mundart von Girgenti (Halle 1891). 

Abbandonata la prospettiva di una carriera accademica a Bonn, si stabilì a Roma, dove, nell’agosto 1891, decise di rompere definitivamente il fidanzamento con Lina. Entrato in contatto, tramite Ugo Fleres, con l’ambiente letterario romano, avviò una fervida attività creativa: in una lettera ai familiari del febbraio 1893 elencò addirittura ventuno lavori, pronti, in preparazione o in corso, tra romanzi, novelle, versi e lavori teatrali, non tutti identificabili in opere poi edite. 

Indirizzato da Luigi Capuana sulla via della prosa, scrisse, nell’estate 1893, il primo romanzo, Marta Ajala, storia di una donna siciliana cacciata di casa dal marito per un adulterio non commesso e riaccolta quando invece il ‘fatto’ è accaduto. Nato sotto il segno della novella Ribrezzo e del romanzo Giacinta di Capuana, il romanzo, con il titolo L’esclusa, fu pubblicato solo nel 1901 a puntate nella Tribuna e in volume da Treves (Milano 1908), con una lettera dedicatoria a Capuana che ne sottolineava l’originale carattere umoristico, sotteso alla rappresentazione oggettiva di casi e persone: lettera poi soppressa nella riveduta edizione Bemporad (Firenze 1927). 

Al 27 gennaio 1894 data il matrimonio a Girgenti, combinato dalle rispettive famiglie, con la figlia di un socio del padre, Calogero Portolano: Maria Antonietta (Nietta), nata nel 1872 e, morta la madre di parto, cresciuta sotto la gelosa sorveglianza di padre e fratelli. La coppia si stabilì a Roma; nel giugno 1895 nacque il primo figlio, Stefano, cui seguirono Rosalia (Lietta) nel giugno 1897 e nello stesso mese, due anni dopo, Fausto Calogero (detto, in famiglia, Lulù). 

Nel 1894 uscirono sia la prima raccolta di novelle, Amori senza amore (Roma), i cui tre testi furono esclusi dalle successive raccolte, sia il poemetto Pier Gudrò (Roma), di tematica risorgimentale, riveduto nelle successive edizioni del 1906 e del 1922. Nell’arco di una fitta e varia collaborazione a giornali e riviste, aveva pubblicato nel settembre 1893 su La Nazione letteraria di Firenze il saggio Arte e coscienza d’oggi, importante per la sua riflessione etica ed estetica, nel confronto con il suo tempo e con testi come Entartung (1892) di Max Nordau e Genio e follia (1864) di Cesare Lombroso.

Al 1895 risalgono la stesura del secondo romanzo, Il turno, centrato su uno dei grandi temi pirandelliani, il caso-caos, qui declinato nella più riduttiva ottica da vaudeville di imprevedibili avvicendamenti coniugali, segnati da colpi di scena, e la pubblicazione delle Elegie renane (Roma), composte negli anni di Bonn, su suggestione di Goethe, con il titolo Elegie boreali. Nel corso del 1896, anno in cui avviò anche la collaborazione al fiorentino Marzocco dei fratelli Orvieto, pubblicò la traduzione in distici delle Elegie romane di Goethe (Livorno), intrapresa sempre nel periodo tedesco, e, in rivista, una scelta di pagine tradotte dalle conversazioni di Eckermann con Goethe, precedute da un’introduzione intitolata Goethe ed Eckermann

Con un gruppo di amici, tra cui Fleres, Giuseppe Mantica, Italo Carlo Falbo, Italo Palmarini, Paolo Orano e altri, Pirandello collaborò alla nascita di una rivista settimanale di titolo shakespeariano, Ariel, il cui primo numero uscì il 18 dicembre 1897, ma che chiuse con il numero del 5 giugno 1898 e in cui, tra l’altro, pubblicò l’atto unico L’epilogo, di cui è stato ritrovato il manoscritto risalente al 1892. Nell’aprile 1898 divenne professore incaricato, come scrisse ai familiari, di estetica e stilistica all’istituto superiore femminile di magistero a Roma, allora diretto da Giuseppe Aurelio Costanzo: l’attività di insegnante, che mantenne fino al 1922, gli pesò tuttavia sempre, e ancor più con l’infittirsi degli impegni teatrali e il crescente successo. 

Nel 1901 apparve la raccolta di liriche Zampogna (Roma), di suggestione pascoliana, cui seguirono Il turno (Catania 1902) e due raccolte di novelle, Beffe della morte e della vita (Firenze 1902), con una seconda serie nel 1903, e Quand’ero matto… (Torino 1902). Nel gennaio 1902 avviò la collaborazione a Nuova Antologia con la lunga novella Lontano che, nella figura di un marinaio norvegese trapiantato in Sicilia, affronta una delle tematiche più care allo scrittore: quella dell’emarginazione sociale e di una sofferta diversità. 

Nel 1903 l’allagamento della miniera di zolfo di Aragona, in provincia di Agrigento, in cui Stefano Pirandello perse il patrimonio familiare, comportò una grave crisi economica e psicologica: Antonietta, la cui dote era stata lì investita, soffrì a lungo di una paresi alle gambe e cadde quindi sempre più preda di una insanabile forma di paranoia. Pirandello, pur fortemente depresso e con pensieri suicidi, intensificò la sua attività, sollecitando compensi per le sue, anche passate, collaborazioni: nel 1904, oltre alla raccolta di novelle Bianche e nere(Torino), uscì a puntate in Nuova Antologia, con l’anticipo di 1000 lire offerto dal suo redattore capo, Giovanni Cena, Il fu Mattia Pascal, edito poi in estratto. 

Romanzo centrato sul tema del doppio, e in gran parte debitore alla tradizione fantastica tedesca (Hoffmann, Chamisso e, in particolare, il Siebenkäs di Jean Paul), ma con richiami a novelle di Émile Zola (La mort d’Olivier Bécaille Jacques Damour) e al nostro Emilio De Marchi (Redivivo, 1895), fu la sua prima decisiva affermazione, rivelandone, di là dai modelli, piena originalità di voce. Subito tradotto in tedesco nel 1905, gli consentì l’ingresso nella casa editrice Treves che, l’anno dopo, gli pubblicò la nuova raccolta di novelle, Erma bifronte, e nel 1910 e nel 1918 due nuove edizioni del romanzo, poi ristampato nel 1921 presso Bemporad, con aggiunta un’Avvertenza sugli scrupoli della fantasia: atto di difesa contro le accuse di inverosimiglianza mossegli anche per i Sei personaggi in cerca d’autore. Sulla suggestione delle traduzioni di classici greci dell’amico Ettore Romagnoli, apparvero in rivista, nel corso del 1906, la prima e seconda parte del poemetto Laòmache (in versione integrale nel 1916 e poi nel 1928) e il poemetto dialogato Scamandro (in volume nel 1909). 

In vista del concorso a cattedra, Pirandello pubblicò due importanti volumi di saggi, Arte e scienza e L’umorismo (rispettivamente Roma e Lanciano 1908), suo fondamentale testo di poetica, dedicato «Alla buon’anima di Mattia Pascal bibliotecario» e destinato ad avviare una polemica con Benedetto Croce che lo stroncò su La Critica (20 maggio 1909), negando la possibilità di definizione filosofica dell’umorismo come genere. 

Fra gennaio e novembre 1909 apparve, nella Rassegna contemporanea, la prima parte del romanzo di impianto storico, ma di matrice esistenziale, I vecchi e i giovani, poi in volume da Treves (Milano 1913). Dedicato a un duplice fallimento generazionale e alla caduta degli ideali sia risorgimentali sia socialisti, sullo sfondo dei Fasci siciliani e dello scandalo della Banca romana, il romanzo è un vasto affresco corale, memore della novella Libertà di Verga e dei Viceré di De Roberto, e in linea con l’antiparlamentarismo diffuso nella narrativa postunitaria. 

Nell’ottobre 1909 iniziò, con la novella Mondo di carta, allusiva sin dal titolo al rischio di separatezza della letteratura dalla realtà, la collaborazione con il Corriere della sera, protratta, con intervalli, fino al 9 dicembre 1936. La morte del suocero nel maggio 1909 peggiorò la situazione emotiva di Antonietta con gravi ricadute in famiglia, in particolare su Lietta che nell’aprile 1916 giunse a un tentativo di suicidio. Si aprì intanto la via del teatro: grazie all’amico e commediografo catanese Nino Martoglio, fondatore del teatro Minimo, il 9 dicembre 1910 al Metastasio di Roma andarono in scena due atti unici pirandelliani: Lumie di Sicilia e La morsa, nuova titolazione de L’epilogo, centrato sul tragico esito di un adulterio. 

Treves pubblicò nel 1910 la raccolta di novelle La vita nuda, ma rifiutò il romanzo Suo marito, edito da Quattrini (Firenze 1911) che, nel 1914, fece uscire anche la raccolta di novelle Le due maschere (poi, col titolo Tu ridi, Milano 1920). La diffusione di Suo marito fu del resto limitata per non offendere Grazia Deledda riconosciutasi nella vicenda: la storia di una scrittrice, Silvia Roncella, in parte alter ego d’autore, il cui marito, Giustino Boggiòlo, ne diventa a tempo pieno l’infaticabile e da tutti irriso agente letterario, in una dicotomia dunque tra l’arte e la sua commercializzazione. Il romanzo fu ripubblicato postumo nel 1941 da Stefano Pirandello, nella parziale revisione operatane dal padre, con l’umoristico titolo Giustino Roncella nato Boggiòlo. Nel 1912 andò in scena l’atto unico Il dovere del medico e uscì da Treves la raccolta di novelle Terzetti, mentre a Genova da Formiggini apparve l’ultimo volume di versi, Fuori di chiave, di registro ironico e prosastico, con accostamenti lessicali quotidiani e letterari sul modello di Gozzano, e il cui titolo rinvia all’amara comicità, già esplicitata ne L’umorismo, di un uomo che si trova a essere a un tempo violino e contrabbasso. 

La sua prima commedia in tre atti, Se non così (divenuta, nel 1919, La ragione degli altri) andò in scena senza successo a Milano il 19 aprile 1915: nata da una novella del 1895, Il nido, era stata in origine titolata Il nibbio, metafora della sottrazione dal nido materno di una bambina, frutto di adulterio. Nel 1915, controcorrente rispetto all’apologia futuristica e dannunziana della tecnologia e della velocità, apparve a puntate nella Nuova Antologia il romanzo Si gira, denuncia della mercificazione insita nel nascente mondo del cinema e dell’alienazione indotta dalla macchina nella vita umana: in volume da Treves (Milano 1916), ebbe una nuova edizione da Bemporad (Firenze 1925) con il titolo, più rispondente alla sua struttura diaristica, Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Contemporaneamente uscirono due altre raccolte di novelle, La trappola e Erba del nostro orto (entrambe Milano 1915), e, nel dicembre, andò in scena a Roma l’atto unico Cecè

Il figlio Stefano, il più vicino al padre per i suoi interessi letterari, si arruolò volontario nel 1915 e a novembre fu fatto prigioniero e internato dapprima a Mauthausen, poi a Plan, in Boemia, mantenendo tuttavia con il padre un intenso rapporto epistolare. Il 13 agosto 1915 a Girgenti era morta la madre Caterina, da Luigi molto amata: nacque così la struggente seconda parte della novella Colloquii coi personaggi a lei dedicata. Grazie a Nino Martoglio, cui aveva anche dato l’idea di una commedia di successo, L’aria del continente, Pirandello si persuase a collaborare con il famoso attore siciliano Angelo Musco, con il quale però i rapporti sarebbero stati burrascosi. Tra il 1915 e il 1916 Musco rappresentò in dialetto Lumie di SiciliaPensaci, Giacuminu! e Liolà, commedia campestre dall’autore molto amata per la sua solare vitalità e apprezzata da critici come Antonio Gramsci e Piero Gobetti, e, nel 1917, ’A birritta ccu ’i ciancianeddi, e l’atto unico ’A giarra

Ma il 1917 fu anche anno di svolta per il teatro pirandelliano, con le rappresentazioni in lingua di Così è (se vi pare), assurto, già nel titolo bipartito, a testo emblematico del relativismo pirandelliano, e de Il piacere dell’onestà, cui seguirono, nel 1918, La patenteMa non è una cosa seriaIl giuoco delle parti: testi ispirati tutti a precedenti novelle, secondo un procedimento che rimase peculiare del teatro pirandelliano. «All’amico Ruggero Ruggeri, maestro d’ogni composto ardire sulla scena», Pirandello dedicò il primo volume della prima raccolta in quattro volumi di Maschere nude, uscito da Treves. Su spinta di Pirandello, andò in scena nel 1918 la commedia Marionette, che passione!, del suo più giovane amico siciliano Pier Maria Rosso di San Secondo, con il cui teatro, e con quello del grottesco in genere, la drammaturgia pirandelliana si intersecò nella volontà di scardinare il dramma borghese. La vena narrativa rimase viva in quelle novelle che furono non solo la primaria fonte d’ispirazione del suo teatro, ma un genere in cui eccelse e che molto amò, tanto da tornare continuamente sopra quei testi con successive varianti: tra il 1917 e il 1918 uscirono presso Treves le nuove raccolte E domani, lunedì… e Un cavallo nella luna

Nel novembre 1918 fece ritorno dalla prigionia il figlio Stefano e nel gennaio 1919 si giunse all’internamento di Antonietta in una casa di cura sulla via Nomentana, Villa Giuseppina, dove la donna rimase fino alla morte, nel dicembre 1959. Lietta, rientrata in famiglia dopo esser stata ospite della zia Lina a Firenze, si sposò nel luglio 1921 con Manuel Aguirre, addetto militare dell’ambasciata del Cile, Paese per cui partì con il marito nel febbraio 1922. Nel marzo, Stefano sposò una musicista, Maria Olinda Labroca: la coppia andò dapprima ad abitare insieme al padre Luigi, in via Pietralata, dove si era trasferito dalla Sicilia anche il nonno Stefano che a Roma morì nel giugno 1924. 

Frattanto proseguirono le rappresentazioni teatrali: nel 1919 andarono in scena, oltre a una versione siciliana del Ciclope di Euripide, tratta dalla traduzione di Romagnoli (’U Ciclopu), L’innesto L’uomo, la bestia e la virtù,che andò incontro tuttavia a un clamoroso insuccesso. Apparvero, nel corso del 1919, altri due volumi di novelle: Berecche e la guerra (Milano), la cui lunga novella eponima esplicita tutte le perplessità pirandelliane sulla Grande Guerra, e Il carnevale dei morti (Firenze), il cui titolo ossimorico ribadisce un’originaria e fondamentale tematica della poetica pirandelliana, giocata sulla complementarietà degli opposti. Iniziarono anche le versioni cinematografiche delle sue opere, la prima delle quali, tratta dalla novella Il lume dell’altra casa, con la regia di Ugo Gracci, realizzata nel 1918, fu distribuita solo nel 1921 per problemi di censura. 

Un contratto decennale del 5 settembre 1919 con la casa editrice Bemporad avviò alla stampa sia una seconda raccolta delle opere teatrali (Maschere nude) sia i primi tredici volumi dell’intero corpus delle novelle, rielaborato sotto il titolo Novelle per un anno, nel progetto di dare alle sue novelle, da rivedere e ampliare, nelle intenzioni, fino al numero di trecentosessantacinque, un’organicità che le ponesse nel solco di opere come Le mille e una notte e il Decameron. Pur rinunciando a una cornice metanarrativa, Novelle per un anno si profila comunque opera unitaria, rielaborando con straordinaria inventiva alcuni polemici temi di fondo (tra cui, la condizione femminile), in un’impietosa radiografia della nostra società rurale e borghese tra fine e principio di secolo, ritratta negli emblematici poli di un’arcaica Sicilia e di una Roma antidannunziana. Nel 1920 si ebbe la prima di Tutto per bene, di cui Pirandello fece per Musco un adattamento siciliano, Ccu ’i nguanti gialli, suo ultimo testo dialettale, in scena a Palermo nel settembre 1921. Dopo il trionfo veneziano, nel marzo 1920, di Come prima, meglio di prima, nel novembre, a Roma, Emma Gramatica fu l’interprete de La signora Morli, una e due

Per gli ottant’anni di Giovanni Verga, il 2 settembre 1920 a Catania, Pirandello pronunciò un discorso in cui polemicamente distingueva tra «scrittori di cose», come Verga, e «scrittori di parole», come D’Annunzio: quel D’Annunzio, allora impegnato sul palcoscenico storico di Fiume, di cui qui si denunciava l’alto rischio dell’affascinante retorica. Omologo a questo fu, nel dicembre 1931, per il cinquantenario dei Malavoglia, un altro discorso verghiano pronunciato all’Accademia d’Italia, dove Pirandello era stato chiamato nel marzo 1929. 

Sei personaggi in cerca d’autore, caduti clamorosamente al teatro Valle di Roma il 9 maggio 1921, trionfarono il 27 settembre al teatro Manzoni di Milano e avviarono, con l’Enrico IV (1922), tragedia della follia e della fissazione dell’uomo in maschera, la fortuna pirandelliana all’estero: famosa la trovata registica parigina di George e Ludmilla Pitoëff, nell’aprile 1923, presente l’autore, in cui i sei personaggi furono calati dall’alto sulla scena con un montacarichi. Caddero così le pareti del «mondo di carta» dell’ex professore Pirandello: nel dicembre 1923 si imbarcò per gli 

Stati Uniti, invitato a New York dall’impresario Brock Pemberton che istituì una ‘Pirandello’s Season’. Oltre alle rappresentazioni nel 1922 del «mistero profano» All’uscita, leopardiano dialogo dei morti sulle soglie di un cimitero, dell’atto unico L’imbecille e di Vestire gli ignudi, altre prime italiane furono, nel 1923, due atti unici, L’uomo dal fiore in bocca e L’altro figlio, nonché la tragedia La vita che ti diedi. Nel maggio 1924, andò in scena a Milano la commedia, ispirata alla trama di Si gira…Ciascuno a suo modo: ulteriore tappa, dopo i Sei personaggi, di destrutturazione drammaturgica, sia nella multipla dislocazione scenica (lo spiazzo davanti al teatro, il palcoscenico, la platea, il ridotto teatrale), sia nella caotica interruzione della pièce alla fine del secondo atto. 

Il 19 settembre 1924 L’Impero pubblicò un telegramma di Pirandello a Mussolini con la richiesta di iscrizione al Partito nazionale fascista (PNF): un gesto spiegato dallo scrittore, in un’intervista a Telesio Interlandi nel medesimo giornale (23 settembre), con la parola «Matteotti», come reazione dunque alla speculazione politica nata su quell’assassinio. Ne seguì un’accesa polemica sulle colonne de Il Mondo, con accusatori di opportunismo (Giovanni Amendola) e difensori (Corrado Alvaro): Adriano Tilgher, critico teatrale de Il Mondo, intervenne dichiarando di scindere il drammaturgo dall’uomo politico, avviando così il progressivo divorzio dal ‘suo’ autore che, da parte sua, era ormai insofferente del binomio vita-forma in cui si sentiva ingabbiato dal critico che molto aveva contribuito all’interpretazione filosofica del suo teatro. 

Nel 1924 Pirandello assunse anche la direzione di quel Teatro d’Arte nato sotto l’iniziale spinta di Stefano Landi (pseudonimo del figlio Stefano) e di Orio Vergani, e che vide all’inizio dodici promotori. La stagione si inaugurò il 2 aprile 1925, nel piccolo teatro di palazzo Odescalchi, sapientemente ristrutturato dall’architetto futurista Virgilio Marchi, con, oltre a Gli dèi della montagna di Edward Dunsany, un atto unico dello stesso Pirandello, dall’eccezionale messinscena, affine al simultaneismo futurista e alle esperienze registiche espressioniste: Sagra del Signore della Nave, ispirata alla degenerazione del sacro (e dunque anche del teatro come rito) in profano e al leopardiano contrasto tra la cosiddetta civiltà umana e la serena rispondenza alla natura degli animali. Molto attento alla recitazione e all’immedesimazione dell’attore nel personaggio, su suggerimenti del Théâtre libre di André Antoine e della scuola di regia russa di Konstantin Sergeevič Stanislavskij, Pirandello regista scritturò come primo attore della compagnia Lamberto Picasso e come prima attrice la giovane Marta Abba, destinata a divenire l’ispiratrice del suo successivo teatro. Nel programma della compagnia fu compresa una nuova edizione dei Sei personaggi, con sostanziali modifiche strutturali inserite nella nuova edizione del testo pubblicata proprio nel 1925 con un’importante Prefazione di autoesegesi dell’autore. In giugno iniziarono le tournées all’estero: prima tappa Londra (dove Pirandello incontrò George Bernard Shaw, da lui molto ammirato), poi in luglio Parigi e, fra ottobre e novembre, varie città della Germania, a partire da Berlino. 

Di ritorno dalla Germania, i propositi di creare un teatro stabile di Stato furono ben presto frustrati da difficoltà economiche. Una lunga polemica con l’avvocato e impresario teatrale Paolo Giordani, accusato da Pirandello di monopolizzare i teatri italiani, ebbe anche un breve momento di riconciliazione che portò nel 1926 a un progetto comune presentato a Mussolini per la creazione di un teatro drammatico nazionale di Stato, tuttavia senza seguito. La compagnia pirandelliana, divenuta di giro, rimase in vita grazie anche agli esborsi personali del suo capocomico, fin quasi alla bancarotta. Seguirono dissidi familiari, tra le cui cause fu il villino romano di via Panvinio fatto costruire dal genero Manuel Aguirre, nominato da Pirandello suo segretario e procuratore, dopo il ritorno dal Cile con la famiglia nel gennaio 1925. I contrasti tra i figli portarono al ritorno in Cile nel 1927 di Lietta con il marito e le due figlie, Rosalia-Lietta e Maria Luisa. Accanto al padre riprese il suo ruolo Stefano; più defilato si pose Fausto che, immerso nella pittura, sposò una modella di un paesino laziale frequentato da artisti, Pompilia d’Aprile, da cui ebbe due figli, Pier Luigi (1928) e Antonio (1937). 

Tra il 1926 e il 1927 furono rappresentati i primi testi scritti appositamente per Marta Abba: la tragedia Diana e la Tuda (in prima mondiale, in tedesco, nel novembre 1926 a Zurigo) e L’amica delle mogli, tratta da una novella della giovanile raccolta Amori senza amore. In una lunga tournée, tra il giugno e il settembre 1927, in Argentina, Uruguay e Brasile, Pirandello, fatto segno di attacchi provocatori da parte della stampa antifascista argentina, volle sottolineare la sua apoliticità di artista. Dopo l’ultimo successo con la prima, nel marzo 1928, del «mito» di impronta sociale La nuova colonia, dove l’utopia di una società alternativa, democraticamente solidale, si risolve nel fallimento, con la salvezza della sola figura della donna-madre, la compagnia di Pirandello concluse la stagione nell’agosto al Politeama di Viareggio, con lo scioglimento del Teatro d’Arte. Nel frattempo altre compagnie avevano rappresentato, nel 1927, l’atto unico Bellavita e nel 1928 il vecchio poemetto drammatico Scamandro e la pantomima La salamandra, «sogno mimico» di Pirandello (probabilmente del 1924), con musica di Bontempelli. 

Nel 1926 uscì da Bemporad, dopo essere apparso a puntate tra il 1925 e il 1926 nella Fiera letteraria, un romanzo di quindicennale gestazione, Uno, nessuno e centomila, che chiuse, dopo Il fu Mattia Pascal e i Quaderni di Serafino Gubbio operatore, la trilogia dei romanzi in prima persona. Sul modello di struttura digressiva del Tristram Shandy di Sterne, testo di riferimento per l’umorismo pirandelliano, il romanzo esplicita e consacra la poetica di scomposizione del reale e di frammentazione della personalità fino all’evanescenza, nell’abdicazione a ogni maschera sociale e nella liberatoria immersione panica nella natura. 

Persuaso della necessità di lasciare l’Italia, Pirandello dall’ottobre 1928 si spostò a Berlino, con Marta Abba e sua sorella Cele, contando su possibili collaborazioni cinematografiche, per cui stese con lo sceneggiatore Adolf Lantz un adattamento dei Sei personaggi, primo dei falliti tentativi di trasposizione filmica del testo. La lontananza da Marta, rientrata in Italia, fu compensata da un fittissimo epistolario che ripercorre questi anni pirandelliani di volontario esilio. Seguì la drammaturgia tedesca, apprezzando Georg Kaiser e Ferdinand Bruckner, e frequentò cabaret e ritrovi intellettuali, intercalando il soggiorno berlinese con rientri in Italia e con altri viaggi, come, nell’aprile 1929, a Londra, dove espresse un giudizio negativo sui film parlati a favore di un connubio cinema-musica («cinemelografia»). Nell’ottobre fu finalmente venduto il villino di via Panvinio, sistemando così debiti e pendenze, e allo stesso anno data il passaggio al suo definitivo editore, Mondadori. 

Nel 1929 furono rappresentati O di uno o di nessuno e, senza successo, il secondo «mito», Lazzaro, centrato sulle diverse modalità di vivere la fede religiosa, in una scissione fra ottusa ortodossia e vitale sintonia con la natura, mentre nel febbraio 1930 trionfò con Marta Abba Come tu mi vuoi, da cui nel 1932 fu tratto As you desire me di George Fitzmaurice un film hollywoodiano con Greta Garbo ed Erich von Stroheim. 

Questa sera si recita a soggetto (1930), testo polemico contro gli eccessi registici, accolto sfavorevolmente a Berlino e riunito in volume nel 1933 con i Sei personaggi Ciascuno a suo modo, concluse la trilogia del «teatro nel teatro», focalizzata sull’interdipendenza palcoscenico-platea e sui rapporti autore-personaggi-attori, attori-personaggi-spettatori, autore-regista-attori. Lasciata Berlino, dopo un rientro in Italia e viaggi a Parigi e Londra, Pirandello si stabilì, nel dicembre 1930, a Parigi, dove nel giugno 1931 lo raggiunse Marta Abba, in vista anche di incontri londinesi di lavoro con Irving Thalberg e Lee Shubert finalizzati al lancio americano dell’attrice. Altre prime degli anni Trenta furono l’atto unico, tra il ‘grottesco’ e il surreale, Sogno (ma forse no), in prima portoghese a Lisbona nel settembre 1931, e due commedie ispirate da Marta Abba, Trovarsi (1932), centrata sulla totale identificazione di un’attrice con il proprio lavoro, e Quando si è qualcuno (1933), autobiografica proiezione del rinnovamento artistico di un anziano e innominato poeta (alias Domenico Gnoli) nell’incontro con una giovane donna. Nell’ottobre 1930, tratto dalla novella In silenzio (1905), uscì il primo film parlato del cinema italiano, La canzone dell’amore, con la regia di Gennaro Righelli, cui fu data, grazie al nome di Pirandello, la precedenza di distribuzione rispetto ad altri film sonori.

Nel 1931 si ebbe un ritorno alla novellistica, avviata, con Soffio, a una nuova, felicissima stagione nel segno del surreale; nel 1932 riprese la collaborazione al Corriere della sera, interrotta nel 1926. Il ritorno di interesse verso la narrativa si estese a progetti romanzeschi più volte annunciati ma restati inevasi, come il romanzo Adamo ed Eva, parabola di una sparizione e rifondazione del genere umano, ideata già da molti anni, ma infine riassorbita da un ulteriore e mai scritto romanzo testamentario: Informazioni sul mio involontario soggiorno sulla Terra. Nel febbraio 1932, restato solo a Parigi dopo il rientro in Italia di Marta Abba, Pirandello ebbe un secondo attacco cardiaco, dopo il primo avuto nel 1927; sollecitato da Stefano, il definitivo ritorno a Roma si ebbe, sul finire del 1933, nel villino di via Bosio. Dietro richiesta di Mussolini, nel giugno 1932 lo scrittore firmò un contratto per un film sulle acciaierie di Terni, girato da Walter Ruttmann con il titolo Acciaio, il cui soggetto, dal titolo Gioca, Pietro!, fu tuttavia steso dal figlio Stefano. Nell’agosto del 1933, in compagnia di Bontempelli, si imbarcò per la seconda volta per il Sudamerica: a Buenos Aires, dove lo raggiunse la figlia Lietta, diresse le prove di Quando si è qualcuno, rivoluzionando la distribuzione dei ruoli e portandolo al successo. Nel gennaio 1934, anno in cui venne insignito del premio Nobel, otto anni prima ottenuto da Grazia Deledda, la prima, in tedesco, di La favola del figlio cambiato, musicata da Gian Francesco Malipiero e demistificatrice del mito del potere, ebbe grande successo di critica e pubblico, ma successive rappresentazioni in Germania furono sospese d’autorità; a Roma, nel marzo, ci furono scontri in sala alla presenza di Mussolini che ne vietò le repliche. 

In occasione del IV Convegno della Fondazione Volta sul teatro drammatico, da lui presieduto nell’ottobre 1934, curò la regia della dannunziana Figlia di Iorio all’Argentina di Roma, con scene di Giorgio De Chirico. Per il suo ultimo lavoro teatrale, Non si sa come(1934), si parlò di influenze freudiane, negate da un autore che si era del resto ispirato a novelle di diversa datazione (Cinci del 1932, ma anche Nel gorgo del 1913 e La realtà del sogno del 1914), ma tutte, comunque, attente alla dimensione dell’inconscio. Tra il luglio e l’ottobre 1935 fu nuovamente negli Stati Uniti, dove si espresse a favore della politica coloniale italiana ed ebbe una fitta rete di incontri (tra cui quello con Albert Einstein, già conosciuto in Germania), tentando varie trattative cinematografiche, con un senso tuttavia di disgusto per quella imperante società dello spettacolo e per la stessa New York, che gli apparve gigantesca città di cartone. Al ritorno, sbarcando a Napoli, ebbe un ulteriore attacco cardiaco. 

Gli anni Trenta, con il ritorno in Italia, segnarono anche la ripresa delle villeggiature estive, antica consuetudine della famiglia Pirandello: villeggiature, come quelle a Coazze, a Chianciano, a Soriano nel Cimino, a San Marcello Pistoiese, in cui Pirandello scriveva e dipingeva, gareggiando anche con l’amata sorella maggiore, Lina, nel ritrarre gli stessi soggetti. Ora si divise tra la Versilia (tra il villino della sorella Lina a Viareggio e quello di Marta Abba al Lido di Camaiore) e Castiglioncello, con la presenza di figli, nipoti e amici. 

Nell’estate 1936, visitando ad Anticoli la famiglia di Fausto, dipinse i suoi ultimi quadri; nel ferragosto presiedette il premio letterario Viareggio, battendosi per l’assegnazione a Il rabdomante di Riccardo Bacchelli che non era iscritto al PNF. Il 1936 segnò il definitivo accantonamento del sogno di un teatro di Stato e la partenza in settembre di Marta Abba per gli Stati Uniti: nel mese di ottobre si ebbe il suo trionfale debutto a Broadway, mentre in Italia Pirandello accolse la figlia Lietta rientrata dal Cile. Negli stabilimenti romani della Caesar, dove seguiva un nuovo adattamento cinematografico de Il fu Mattia Pascal, per la regia di Pierre Chenal (dopo quello del 1925 di Marcel L’Herbier con Ivan Mosjoukine protagonista), venne acceso alle spalle di Pirandello, per riscaldarlo, un padellone da 5000 Watt che compromise in maniera definitiva la sua già precaria salute. 

Morì di broncopolmonite la mattina del 10 dicembre 1936 nella sua casa di via Antonio Bosio 15, ora sede dell’Istituto di studi pirandelliani. 

Secondo le sue ultime volontà, fu cremato e il funerale si svolse in totale povertà, su un carro d’infima classe, senza accompagnamento alcuno. Le sue ceneri, dopo più spostamenti, sono ora tumulate ad Agrigento, sotto il pino della Villa del Caos. 

Lasciò incompiuto l’ultimo dei tre «miti» teatrali, I giganti della montagna, centrato sull’emarginata e rischiosa sopravvivenza dell’arte nell’epoca della trionfante tecnologia, e messo in scena da Renato Simoni nel 1937 a Firenze, al giardino di Boboli. I giganti, allarmato e potente atto d’accusa verso una cultura che ha smarrito il fondante valore sociale dell’arte, divenne a più riprese banco di prova per il regista Giorgio Strehler, con diverse messe in scena dislocate nel tempo, dall’immediato dopoguerra agli anni Sessanta della contestazione giovanile, fino alla sua penultima stagione teatrale degli anni Novanta. 

Opere. Nata sull’esigenza di una revisione filologica è, nella collana «i Meridiani» di Mondadori, l’edizione delle Opere di L. P., diretta da G. Macchia, comprensiva di Tutti i romanzi (I-II, Milano 1973), Novelle per un anno (I-III, 6 tomi, Milano 1985-90), Maschere nude (I-IV, Milano 1986-2007), Saggi e interventi (Milano 2006). Nella stessa collana sono: Album Pirandello (Milano 1992), curato da M.L. Aguirre d’Amico, e Lettere a Marta Abba, a cura di B. Ortolani (Milano 1995). La produzione lirica è compresa in Saggi, poesie, scritti varii, a cura di M. Lo Vecchio-Musti, Milano, 1960. 

Dell’epistolario si segnalano i principali volumi, tra i quali, a cura di E. Providenti: Lettere da Bonn (1889-1891), Roma 1984; Epistolario familiare giovanile (1886-1898), Firenze 1986; Lettere giovanili da Palermo e da Roma (1886-1889), Roma 1993; Lettere della formazione, 1891-1898 con appendice di lettere sparse 1899-1919, Roma, 1996. Per cura di S. Zappulla Muscarà sono: Pirandello-Martoglio: carteggio inedito, Catania 1979; L. Pirandello, Carteggi inediti con Ojetti-Albertini-Orvieto-Novaro-De Gubernatis-De Filippo, Roma 1980; L. Pirandello – S. Pirandello, Nel tempo della lontananza (1919-1936), Caltanissetta-Roma 2005. Fra gli ulteriori carteggi: L. P. intimo. Lettere e documenti inediti, a cura di R. Marsili Antonetti, Roma 1998; L. Pirandello, Lettere a Lietta, trascritte da M.L. Aguirre d’Amico, Milano 1999; Il figlio prigioniero. Carteggio tra Luigi e il figlio Stefano durante la guerra 1915-1918, a cura di A. Pirandello, Milano 2005. Tra gli scritti sparsi: Taccuino segreto, a cura di A. Andreoli, Milano 1997, e Taccuino di Harvard, a cura di O. Frau – C. Gragnani, Milano 2002, cui si aggiungono Provenzale: Bonn a/Rh. 1889-90: manoscritto, Palermo 1998; Taccuino di Coazze: manoscritto, Palermo 1998. Per la tesi di laurea in traduzione italiana: Fonetica e sviluppo fonico del dialetto di Girgenti, con introd. di G. Nencioni e trad. di E. Cetrangolo, Roma 1984. Per le traduzioni delle conversazioni con Goethe di Eckermann: G. Corsinovi, La persistenza e la metamorfosi, Pirandello e Goethe, Caltanissetta-Roma 1997, e A. Barbina, L’ombra e lo specchio. Pirandello e l’arte del tradurre, Roma 1998. Una selezione delle interviste è in Interviste a Pirandello «Parole da dire, uomo, agli altri uomini», a cura di I. Pupo, Soveria Mannelli 2002. Per gli inediti presenti nel friulano Fondo Torre Gherson: G. Paron – G.S. Pedersoli, Un amico di Pirandello: il periodo parigino del premio Nobel, Latisana 2008. 

Fonti e Bibl.: Tra le biografie e gli album iconografici si vedano: F.V. Nardelli, L’uomo segretoVita e croci di L. P., Milano 1932 (infine, con il titolo Pirandello. L’uomo segreto, a cura di M. Abba, Milano 1986); G. Giudice, L. P., Torino 1963; E. Lauretta, L. P.: storia di un personaggio «fuori di chiave», Milano 1980; M.L. Aguirre d’Amico, Vivere con Pirandello, Milano 1989; L. P. Biografia per immagini, a cura di R. Marsili Antonetti – F. Pierangeli – S.N. Tesè, Cavallermaggiore 2001; M. Collura, Il gioco delle parti. Vita straordinaria di L. P., Milano 2010; S. Zappulla Muscarà – E. Zappulla, I Pirandello. La famiglia e l’epoca per immagini, Catania 2013. 

Nella vastissima bibliografia critica pirandelliana, si segnalano alcuni riferimenti di base: A. Tilgher, Studi sul teatro contemporaneo, Roma 1923 [ma 1922]; F. Fergusson, The Idea of a Theatre, Princeton, NJ, 1949 (trad. it., Idea di un teatro, a cura di R. Soderini, Parma 1957); C. Salinari, Miti e coscienza del decadentismo italiano, Milano 1960; A. Leone de Castris, Storia di Pirandello, Bari 1962; F. Rauhut, Der junge Pirandello oder das Werden eines existentiellen Geistes, München 1964; G. Andersson, Arte e teoria. Studi sulla poetica del giovane L. P., Stockholm 1966; B. Terracini, Analisi stilistica. Teoria, storia, problemi, Milano 1966; L. Lugnani, Pirandello. Letteratura e teatro, Firenze 1970; L. Sciascia, La corda pazza, Torino 1970; C. Vicentini, L’estetica di Pirandello, Milano 1970; G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento, Milano 1971; J.M. Gardair, Pirandello, fantasmes et logique du double, Paris 1972 (trad. it., Pirandello e il suo doppio, a cura di G. Ferroni, Roma 1977); A. Pagliaro, Forma e tradizione, Palermo 1972; G. Guglielmi, Ironia e negazione, Torino 1974; P. Mazzamuto, L’arrovello dell’arcolaio. Studi su Pirandello agrigentino e dialettale, Palermo 1974; G.P. Biasin, Malattie letterarie, Milano 1976; E. Ferrario, L’occhio di Mattia Pascal. Poetica e estetica in Pirandello, Roma 1978; P. Puppa, Fantasmi contro giganti. Scena e immaginario in Pirandello, Bologna 1978; M.L. Altieri Biagi, La lingua in scena, Bologna 1980; A. Barbina, La biblioteca di L. P., Roma 1980; G. Macchia, Pirandello o la stanza della tortura, Milano 1981; G. Nencioni, Di scritto e di parlato. Discorsi linguistici, Bologna 1983; Id., Tra grammatica e retorica. Da Dante a Pirandello, Torino 1983; B. Alfonzetti, Il trionfo dello specchio: le poetiche teatrali di Pirandello, Catania 1984; R. Barilli, Pirandello. Una rivoluzione culturale [1986], Milano 2005; G. Cappello, Quando Pirandello cambia titolo: occasionalità o strategia?, Milano 1986; M. Cometa, Il teatro di Pirandello in Germania, Palermo 1986; G. Guglielmi, La prosa italiana del Novecento: umorismo metafisica grottesco, Torino 1986; M. Guglielminetti, Il romanzo del Novecento italiano. Strutture e sintassi, Roma 1986; L. Lugnani, L’infanzia felice e altri saggi su Pirandello, Napoli 1986; Omaggio a Pirandello, a cura di L. Sciascia, Milano 1986; A. d’Amico – A. Tinterri, Pirandello capocomico. La compagnia del Teatro d’Arte di Roma, 1925-1928, Palermo 1987; G. Mazzacurati, Pirandello nel romanzo europeo, Bologna 1987; L. Sedita, La maschera del nome. Tre saggi di onomastica pirandelliana, Roma 1988; U. Artioli, L’officina segreta di Pirandello, Roma-Bari 1989; S. Micheli, Pirandello in cinema. Da «Acciaio» a «Káos», Roma 1989; F. Angelini, Serafino e la tigre. Pirandello tra scrittura teatro e cinema, Venezia 1990; La musa inquietante di Pirandello: il cinema, a cura di N. Genovese – S. Gesù, I-II, Catania 1990; E. Providenti, Archeologie pirandelliane, Catania 1990; V. Spinazzola, Il romanzo antistorico, Roma 1990; N. Borsellino, Ritratto e immagini di Pirandello, Roma-Bari 1991; F. Càllari, Pirandello e il cinema. Con una raccolta completa degli scritti teorici e creativi, Venezia 1991; R. Luperini, Pirandello, Roma-Bari 1992; M.A. Grignani, Retoriche pirandelliane, Napoli 1993; P. Puppa, La parola altaSul teatro di Pirandello e D’Annunzio, Roma-Bari 1993; C. Vicentini, Pirandello. Il disagio del teatro, Venezia 1993; R. Alonge, L. P., Roma-Bari 1997; Id., Madri, baldracche, amanti. La figura femminile nel teatro di Pirandello, Genova 1997; P. Casella, Strumenti di filologia pirandelliana. Complemento all’edizione critica delle «Novelle per un anno», Ravenna 1997; E. Gioanola, Pirandello, la follia, Milano 1997; G. Mazzacurati, Stagioni dell’apocalisse. Verga, Pirandello e Svevo, Torino 1998; E. Providenti, Pirandello impolitico (dal radicalismo al fascismo), Roma 2000; U. Artioli, Pirandello allegorico. I fantasmi dell’immaginario cristiano, Roma-Bari 2001; P. Casella, L’Umorismo di Pirandello, ragioni intra- e intertestuali, Fiesole 2002; R. Alonge, Donne terrifiche e fragili maschi. La linea teatrale D’Annunzio – Pirandello, Roma-Bari 2004; N. Borsellino, Il dio di Pirandello. Creazione e sperimentazione, Palermo 2004; D. Budor, Mattia Pascal, tra parola e immagine. Dal romanzo di Pirandello a Dylan Dog, Roma 2004; P. Guaragnella, Il pensatore e l’artista. Prosa del moderno in Antonio Labriola e L. P., Roma 2005; B. Porcelli, In principio o in fine il nome. Studi onomastici su Verga, Pirandello e altro Novecento, Pisa 2005; A. Sichera, Ecce Homo! Nomi, cifre e figure di Pirandello, Firenze 2005; M. Guglielminetti, Pirandello, Roma 2006; V. Masiello, Icone della modernità inquieta. Storie di vinti e di vite mancate. Riletture e restauri di Verga e Pirandello, Bari 2006; N. Merola, La linea siciliana nella narrativa moderna. Verga, Pirandello & C., Soveria Mannelli 2006; E. Ghidetti, Malattia, coscienza e destino. Per una mitografia del decadentismo, Roma 2007; P. Marzano, Quando il nome è «cosa seria». L’onomastica nelle novelle di L. P. Con un regesto di nomi e personaggi, Pisa 2008; A.R. Pupino, Pirandello o l’arte della dissonanza. Saggio sui romanzi, Roma 2008; E. Providenti, Nuove archeologie. Pirandello e altri scritti, Firenze 2009; P. Gibellini, Verga, Pirandello e altri siciliani, Lecce 2011; A.R. Pupino, Pirandello: poetiche e pratiche di umorismo, Roma 2013; A. Sorrentino, L. P. e l’«altro». Una lettura critica postcoloniale, prefazione di D. Budor, Roma 2013; R. Castellana, Storie di figli cambiati. Fate, demoni e sostituzioni magiche tra folklore e letteratura, Pisa 2014. 

Oltre ai molti cataloghi, sono inoltre numerosissimi gli Atti di Convegni, fra i quali si segnalano almeno le pubblicazioni del Centro nazionale di studi pirandelliani di Agrigento, legate a una fitta attività congressuale avviata nel 1974.

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