La Letteratura
Dal punto di vista letterario gli anni del secondo Ottocento rappresentano un periodo di crisi. Si sviluppa una scuola manzoniana, ma di modesta levatura, mentre l’isolata lezione leopardiana non trova seguaci; mancano figure di spicco in grado di orientare e caratterizzare questa fase storico-culturale. In alcuni scrittori è percepibile il prevalere di un sentimentalismo languido e flebile, un riproporsi fiacco di temi e moduli che in precedenza avevano avuto risonanze più profonde.
L’avvento dell’industria libraria e gli avvenimenti politico-sociali cambiano la funzione del poeta e il suo rapporto con il pubblico. Alla figura del poeta romantico, che si era sentito espressione di una voce collettiva, portatore di un messaggio indirizzato all’universalità degli uomini, subentra quella del poeta moderno, il quale ha una coscienza del proprio ruolo molto più inquieta e vive con disagio i fenomeni che vede attorno a sé: l’ascesa della borghesia, l’ampliamento del pub- blico dei lettori, l’avanzare del proletariato, il progresso tecnologico e industriale.
Nella seconda metà del secolo la cultura filosofica egemone è il Positivismo, i cui aspetti salienti sono la reazione agli esiti irrazionalistici a cui era giunto il Romanticismo e la ripresa di alcune istanze dell’Illuminismo, come la fiducia nella ragione e nella scienza, la volontà di estendere il metodo sperimentale, tipico delle scienze naturali, ad altri campi del sapere, la fondazione di nuove discipline (ad esempio la sociologia); esso deve al francese Auguste Comte il nome e l’esposizione teorica.
In Italia la dottrina positivista si diffonde ampiamente tra la borghesia laica dopo il raggiungimento dell’Unità. Tra le maggiori figure di pensa- tori in questo periodo vanno ricordati Andrea Angiulli (1837-1890) e soprattutto Roberto Ardigò (1828-1920), che scrive numerosi volumi nei quali illustra aspetti e problemi dell’evoluzionismo filosofico.
La Scapigliatura ( il termine è usato per la prima volta da Cletto Arrighi, 1830-1906, nel romanzo La Scapigliatura e il 6 febbraio, del 1862), estrema propaggine del Romanticismo, è la corren- te letteraria che domina il panorama italiano nei primi anni dell’Unità nazionale: indica una schiera di giovani anticonformisti, avversi a ogni forma di vita borghese, ribelli, insofferenti, bohémien. Il movimento ruota attorno al gruppo di letterati milanesi di cui fanno parte Arrigo (1842- 1918) e Camillo Boito (1836-1914), Emilio Praga (1839-1875), Igino Ugo Tarchetti (1839-1869), Carlo Dossi (1849-1910), e successivamente attorno al gruppo piemontese che annovera Giovanni Faldella (1846- 1928), Giovanni Camerana (1845-1905), Giuseppe Giacosa (1847- 1906), Roberto Sacchetti (1847-1881). Alle radici della Scapigliatura si pongono la delusione per gli esiti del Risorgimento, un contraddittorio rapporto con l’industrializzazione e l’opposizione alla mentalità borghese. Sul piano letterario i temi prevalenti sono l’abnorme e il patologico, il patetico e l’orroroso, l’onirico e il fantastico, l’ironia e l’umorismo acre.
In Francia, sulla scia del Positivismo, si sviluppa il Naturalismo ( anche Glossario): Honoré de Balzac, Gustave Flaubert e i fratelli Edmond e Jules Goncourt sono gli esponenti di punta; ma, certo, Émile Zola, con la teoria del roman experimental ne è il caposcuola. Il metodo scientifico viene trasferito alla letteratura, che si caratterizza come una scienza capace di cooperare allo sviluppo sociale e culturale. Ulteriore novità è il canone dell’impersonalità della narrazione, che liqui- da la formula del narratore onnisciente dominante nel primo Ottocento.
Il Verismo italiano si muove nell’ambito della medesima cultura scientista del Naturalismo francese: si accetta la concezione deterministica dell’agire umano, respingendo quella metafisica e moralistica tradizionale. L’oggetto della letteratura, affer- ma Giovanni Verga ( I grandi autori) nella Prefazione alla novellaL’amante di Gramigna, sono i «documenti umani», cioè fatti veri, storici; e l’analisi di tali documenti deve essere condotta con «scrupolo scien- tifico»; il romanzo trionferà, dice, quando «la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile, e l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé». È la dottrina dell’impersonalità, secondo la quale l’autore nell’analisi della realtà deve evitare accuratamente di inserire e manifestare il suo
punto di vista. Ma alla visione negativa della realtà sociale, comune ai naturalisti francesi, non si accompagna nei veristi una fiducia nella scienza come efficace strumento per l’emancipazione dell’uomo e per la soluzione di problemi, che appaiono quasi fatalisticamente legati a dati oggettivi e perenni della natura umana e della società.
Tra il 1880 e il 1886 un gruppo di letterati francesi, facenti capo a Paul Verlaine, anima la vita culturale e letteraria parigina, dando vita al cosiddetto Decadentismo, di cui era stato precursore Charles Baudelaire. Il termine designa un’intera fase storico-culturale europea che si estende fino al primo decennio del No- vecento. Il movimento nasce come reazione al Positivismo-Naturalismo, riprendendo molte delle esperienze di segno irrazionalistico, spiritualistico, soggettivistico
del moto romantico. La realtà vera non è più quella che appare, ma quella che si cela dietro le apparenze; un rinnovato senso del mistero
avvolge la natura e l’uomo. Il linguaggio della realtà e della natura è misterioso, oscuramente simbolico, e l’essere umano lo deve interpre-
tare e svelare. Al poeta è affidato il compito di farsi “veggente”, cioè di svelare l’enigma della vita. Fare della propria esistenza un’opera d’ar-
te, vivere nel culto esasperato della bellezza, o totalmente in funzione dell’arte diviene un credo per molti letterati. È la genesi dell’Estetismo, che ha in personaggi come Dorian Gray di Oscar Wilde e Andrea Sperelli di Gabriele D’Annunzio gli esempi più celebri. Della letteratura e dell’arte si evidenzia la sostanziale autonomia: non più subordinate a qualsivoglia fine pratico, ma poesia e arte per sé stesse. Eccezione a questa ten- denza è la concezione dannunziana del letterato trascinatore di folle e politicamente impegnato; ma sotto questo atteggiamento c’è anche una sorta di onnipotenza, che ha radici nel superomismo di Nietzsche,
nella teoria cioè di un uomo superiore, con le capacità per dominare la realtà e le masse.
Dopo l’unificazione nazionale si discutono diverse tesi formulate sulla questione della lingua nel primo Ottocento, in particolare quella manzoniana. È Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907) che dirime, sul piano teorico, la questione. Egli sostiene che per affrontare il problema bisogna analizzarne le cause, che consistono nella divisione politica, nella scarsa diffusione della cultura, nel formalismo e nella retorica. Non il fiorentino del popolo, come aveva proposto Manzoni, ma il patrimonio di esperienze linguistiche e culturali comuni a tutta Italia, deve costituire, per Ascoli, la base per lo sviluppo di una lingua uni- taria, che si sarebbe avuta quando anche i ceti subalterni avrebbero partecipato a momenti di vita collettiva e attinto alle fonti della cultura. Tra le condizioni che favoriscono l’unificazione linguistica si possono ricordare: l’incremento della scolarizzazione; l’unificazione ammini- strativa e la diffusione della burocrazia; il servizio militare che porta al nord i giovani meridionali e al sud i settentrionali; la stampa a diffu- sione nazionale; l’urbanizzazione, l’industrializzazione e la migrazione interna, che cooperano nel permettere a masse di ceto e provenienza geografica diversi di comunicare tra loro.
Il romanzo sociale
Nella seconda metà dell’Ottocento il romanzo storico entra in crisi sia per il tramonto degli ideali risorgimentali sia per la progressiva dis- soluzione dei tradizionali registri narrativi. A poco a poco si affermano nuovi generi attraverso i quali gli scrittori approfondiscono gli aspetti psicologici dei loro personaggi, o effettuano indagini relative ai flussi di coscienza, ai contrasti tra sentimento e ragione, ai tormenti esistenziali. Un esempio è il romanzo sociale, che nasce in concomitanza con lo sviluppo delle scienze antropologiche, mediche ed economiche. Sicché diviene indispensabile, anche nella letteratura, che il narratore non
si fermi semplicemente a ritrarre il mondo così com’è, cioè nei suoi aspetti reali, ma si ponga lo scopo della denuncia, assumendo magari i metodi delle scienze. Questo genere ha il suo momento migliore nella narrativa degli scapigliati democratici, con i quali si presta a essere un’acuminata arma di polemica e di contestazione. Tra coloro che scrivono specificatamente romanzi sociali è opportuno ricordare autori quali Cletto Arrighi, Achille Bizzoni (1841-1904), Cesare Tronconi (1842-1890) e Paolo Valera (1850-1926).
Il romanzo d’appendice nel secondo Ottocento diviene la più diffusa merce di consumo. Quasi tutti i quotidiani e i periodici pub- blicano romanzi a puntate, bozzetti, novelle, racconti, e sostengono una narrativa d’appendice al femminile, in cui le scrittrici si rivolgono direttamente alle donne per inculcare loro i valori della famiglia e della maternità: è il caso di Anna Radius Zuccari (1846-1918), nota come Neera, e di Maria Antonietta Torriani (1846-1920) o Marchesa Colombi. Ma è soprattutto vero che la pubblicistica attira la gran parte degli autori italiani rimasti famosi, come Edmondo De Amicis (1846- 1908), Carlo Collodi (1826-1890), Matilde Serao (1856-1927), Luigi Capuana (1839-1915), Giovanni Verga, Antonio Fogazzaro (1842- 1911) ed Emilio De Marchi (1851-1901), per i quali i giornali sono il mezzo più celere per diffondere il loro pensiero, le loro poetiche e le loro riflessioni critiche.
Il romanzo regionale documenta, invece, particolari condizioni sociali degradate, tradizioni e costumi locali, modi di pensare e di vivere propri di un determinato ambiente. La narrativa regionale è implicitamente sollecitata dalle pregresse differenze sociali, econo- miche e politiche che lo Stato unitario non è riuscito a eliminare. Tra gli autori da ricordare ci sono Renato Fucini (1843-1921), Achille Giovanni Cagna (1847-1931), Nicola Misasi (1850-1923), Remigio Zena (1850-1917) ed Emilio De Marchi. In particolare di quest’ultimo si ricorda il Demetrio Pianelli (1890), che mostra persistenti venature tardo-romantiche e scapigliate.
Nell’ambito della narrativa per ragazzi si distinguono Collodi e De Amicis, rispettivamente con Le avventure di Pinocchio (1883) e Cuore (1886). Il testo di Collodi, che penetra capillarmente nelle scuole e nelle famiglie, contribuisce con la sua vivacità espressiva a dare un solido sostegno alla formazione della lingua nazionale; Cuore è invece legato alla qualità del suo messaggio pedagogico e alla sua concezione della vita associata.
Il panorama della produzione lirica attorno alla metà del secolo è assai variegato, ma nel contempo privo di grandi personalità, ad eccezione di Carducci: ciò che risulta evidente sul piano tematico è l’enfatizzazione sentimentale, la compiaciuta predilezione per storie di amori infelici, per le facili effusioni suggerite dagli spettacoli naturali o dalla meditazione sulla condizione umana, che si concretizza sul piano formale in una versificazione facile e corriva. Tra le figure più rappresentative di questo periodo abbiamo Giovanni Prati (1814-1884) e Aleardo Aleardi (1812-1878), i quali accolgono le suggestioni del Romanticismo europeo: del primo, la cui attività letteraria è piuttosto eterogenea, rammentiamo i Canti per il popolo e ballate (1843), la no- vella in versi Edmenegarda (1841), i poemi Rodolfo (1853), Armando (1868), le raccolte Psiche (1876) e Iside (1878); del secondo, dotato di una disciplina formale maggiore rispetto a Prati, citiamo Il Monte Cir- cello (1856), Le antiche città italiane marinare e commercianti (1856), Poesie complete (1863).
Il poeta per antonomasia del secondo Ottocento è, però, senza ombra di dubbio Giosue Carducci (1835-1907). Nato a Valdicastello in provincia di Lucca, fin dalle prime prove letterarie manifesta un’in- discutibile tensione verso l’impegno etico e sociale. Il Romanticismo, secondo l’ottica carducciana, è destinato a essere presto superato, poiché il poeta moderno deve rendersi indipendente dalle mode e dalle esigenze del tempo e perseguire una propria ricerca capace di elevarsi al di sopra della storia per assurgere all’eternità della grande poesia. La sua battaglia antiromantica è pienamente giustificata dagli esiti di una cultura che va esaurendo la potente carica ideologica con cui si era rivelata a inizio secolo. Come rimedio a questa degenera
zione egli propone allora un ritorno ai classici, che si sostanzia di una fortissima carica polemica destinata a tradursi immediatamente in impegno civile, che trova riscontro, alle soglie dell’Unità d’Italia, negli autori risorgimentali. Carducci esorta all’eroismo e alla passione patriottica ed è particolarmente attratto da quei momenti della storia universale in cui queste forze si evidenziano in tutta la loro irruenza; ma la rievocazione della storia antica tocca i momenti più intensi e delicati quando muove da una malinconica consapevolezza che quel passato non tornerà mai più.
Cresciuto a contatto con una natura ancora semiselvaggia come quella della Maremma, il poeta porta sempre nell’animo l’impronta sana e vigorosa di quel mondo. La dolcezza di quelle atmosfere campestri ritorna in tanta parte della sua produzione, facendo da contraltare sen- timentale e malinconico alla passione civile; in liriche come Davanti San Guido tale afflato intimistico tocca uno dei vertici più commoventi.
Alcuni fattori della posizione ideologica carducciana subiscono un sensibile mutamento nei decenni successivi all’Unità d’Italia: l’entu- siasmo democratico e l’atteggiamento ribellistico (che toccano il loro culmine nel polemico Inno a Satana del 1863, vibrante apologia della ragione, del progresso e del pensiero laico) lasciano il passo a posizioni indubbiamente più moderate, per approdare infine all’accettazione convinta della monarchia di Umberto I.
La varietà dei temi e dei sentimenti, la presenza niente affatto re- torica del dolore, della morte, della forza e della fragilità, sono i moti più sottili e inquietanti dell’animo umano, espressi nella sua vastissima produzione, nella quale si toccano i momenti più delicati e moder- namente nostalgici della poesia italiana della seconda metà del XIX secolo. Tra le opere maggiori possiamo indicare le raccolte poetiche Juvenilia (1860; sia i contenuti che le scelte metriche rivelano l’imitazio- ne dei classici amati dal poeta in gioventù, da Dante e Petrarca a Monti e Foscolo), Levia Gravia (1868; già il titolo, di derivazione ovidiana, indica la compresenza di liriche di impegno politico-civile e altre più leggere), Giambi ed Epodi (1882; si inserisce nella fase democratica e giacobina dell’autore), Rime nuove (1887; le poesie di questa raccolta, tra le più belle composte da Carducci, spaziano dai motivi più intimistici
e sentimentali a quelli più civilmente impegnati e polemici, e i temi trattati sono le memorie autobiografiche e le grandi memorie storiche; celeberrima è la lirica San Martino), Odi barbare (1877; 1882; 1889; ricorrono gli stessi motivi ampiamente presenti nelle Rime nuove, con alternanza di ricordi interiori, sottili e nostalgici moti dell’animo, sogni di evasione in un passato nazionale mitico e lontano. Nella raccolta il poeta sperimenta l’applicazione della metrica latina e greca nella lingua italiana, il che spiega la definizione di «barbare» data alle odi), Rime e ritmi (1899; orientato verso la monarchia e le posizioni di Crispi, Car- ducci propone un’immagine falsamente eroica e positiva dell’Italia); la raccolta di articoli critici Confessioni e battaglie (1882; 1883; 1884; l’autore è anche un critico militante e interviene polemicamente nel dibattito culturale del tempo); l’Epistolario (postumo; 1938; nel quale si scopre un Carducci diverso dal poeta “ufficiale”, che ripercorre le tappe principali della sua vita in uno straordinario esempio di autoanalisi).
Il classicismo di Carducci, che intende la classicità come età di vitalistico rapporto con la vita, come laica razionalità da cui nascono gli atteggiamenti anticristiani, favorisce una florida produzione poetica rappresentata da Giacomo Zanella (1820-1888), che nei suoi compo- nimenti affronta problemi di notevole interesse, come il rapporto fra scienza e fede; Pietro Cossa (1830-1881); Domenico Gnoli (1838- 1915), che a Carducci si riferisce definendolo «poeta d’Italia tutelare»; Enrico Nencioni (1837-1896), che nelle sue poesie non è scevro da novità simboliste; Giuseppe Chiarini (1833-1908), del quale ricordiamo alcuni componimenti collegati alle disgrazie familiari che lo colpirono; Severino Ferrari (1856-1905), che in alcune sue liriche coniuga l’amore per la terra romagnola con suggestioni mitologiche.
Negli ultimi anni del XIX secolo si afferma la poesia simbolista grazie ad autori come Gabriele D’Annunzio e Giovanni Pascoli ( Parte Quarta, I grandi autori), che hanno una funzione essenziale nella sprovincializzazione della cultura letteraria italiana e nel rinnovamento linguistico-stilistico.