Letteratura italiana

I Promessi Sposi

Promessi Sposi è un romanzo storico scritto da Alessandro Manzoni, considerato il romanzo più importante della produzione letteraria italiana prima dell’unità del paese. L’edizione definitiva dell’opera appare tra il 1840 e il 1842. Nel suo capolavoro Manzoni descrive, tra storia e finzione, le traversie amorose di Renzo e Lucia, che si svolgono sulla scena lombarda tra il 1628 e il 1630, quando la regione era sotto l’occupazione spagnola. L’importanza del romanzo è fondamentale anche per lo sviluppo e l’affermazione della lingua italiana, basata sul modello del toscano dell’uso.

Manzoni iniziò a dedicarsi alla scrittura di un romanzo a partire dall’autunno del 1821, ma la stesura vera e propria del Fermo e Lucia era iniziata il 24 aprile 1821, dopo aver letto l’Ivanhoe tradotto in francese. Nella quiete della sua villa di Brusuglio, Manzoni iniziò a scrivere il suo romanzo dopo aver quindi iniziato la lettura dei romanzi europei, specialmente inglesi, in quanto la letteratura italiana si era concentrata su altre tipologie di generi prosaici. Oltre a Walter Scott Manzoni, seguendo la metodologia già adottata per le tragedie, cominciò un vero e proprio lavoro di documentazione storica, basato sulla lettura della Historia patria di Giuseppe Ripamonti e dell’Economia e statistica di Melchiorre Gioia. In base alle postille lasciate dal Manzoni, la prima minuta del Fermo e Lucia (titolo suggerito dall’amico Ermes Visconti, come testimoniato in una lettera del 3 aprile 1822), consisteva in un foglio protocollo diviso in due colonne: a sinistra Manzoni scriveva il testo, mentre sulla destra riportava le correzioni. 

La seconda fase di stesura del romanzo, dovuta all’ultimazione dell’Adelchi e alla stesura del Cinque maggio, terminò il 17 novembre 1823 e il manoscritto fu edito nel 1825. Il passaggio dal Fermo e Lucia, la cui struttura narrativa risultava poco armonica a causa della divisione in tomi e di ampie parti narrative dedicate a suor Gertrude, a I promessi sposi fu alquanto travagliato per la ridefinizione dell’architettura dell’opera. Oltre al problema espositivo, Manzoni si accorse del linguaggio artificioso e letterario da lui usato, elemento non rispondente alle esigenze realistiche cui tendeva la sua poesia. Scegliendo il toscano come lingua colloquiale per i suoi personaggi, pubblicò la cosiddetta ventisettana (nome dato alla prima edizione de I promessi sposi) ma, consapevole della necessità di ascoltare direttamente l’eloquio di quella regione, decise di partire per Firenze.

Ambientato tra 1628 e il 1630 in Lombardia durante il dominio spagnolo, fu il primo esempio di romanzo storico della letteratura italiana. Il romanzo si basa su una rigorosa ricerca storica e gli episodi del XVII secolo, come ad esempio le vicende della monaca di Monza (Marianna de Leyva y Marino) e la Grande Peste del 1629–1631, si fondano su documenti d’archivio e cronache dell’epoca. Il romanzo di Manzoni viene considerato non solo una pietra miliare della letteratura italiana – in quanto è il primo romanzo moderno di questa tradizione letteraria – ma anche un passaggio fondamentale nella nascita stessa della lingua italiana.

La fase redazionale

La prima idea del romanzo risale al 24 aprile 1821, quando Manzoni cominciò la stesura del Fermo e Lucia, componendo in circa un mese e mezzo i primi due capitoli e la prima stesura dell’Introduzione. Interruppe però il lavoro per dedicarsi al compimento dell’Adelchi, al progetto poi accantonato della tragedia Spartaco e alla scrittura dell’ode Il cinque maggio. Dall’aprile del 1822 il Fermo e Lucia fu ripreso con maggiore lena e portato a termine il 17 settembre 1823: il Manzoni dichiarò, nella lettera all’amico Claude Fauriel del 9 novembre dello stesso anno, di aver portato a termine una nuova creazione letteraria caratterizzata dalla tendenza al vero storico. L’oggetto della vicenda fu offerto al Manzoni dalla lettura di alcuni manoscritti recanti episodi realmente accaduti (le minacce ad un curato di campagna per non far celebrare il matrimonio tra due giovani, per esempio) che saranno centrali per lo sviluppo della trama.

Il Fermo e Lucia non va considerato come laboratorio di scrittura utile a preparare il terreno al futuro romanzo, bensì come opera autonoma, dotata di una struttura interna coesa e del tutto indipendente dalle successive elaborazioni dell’autore. Rimasto per molti anni inedito (sarebbe stato pubblicato solo nel 1915, da Giuseppe Lesca, col titolo Gli sposi promessi), il Fermo e Lucia viene oggi guardato con grande interesse. Anche se la tessitura dell’opera è meno elaborata di quella de I promessi sposi, nei quattro tomi del Fermo e Lucia si ravvisa un romanzo irrisolto a causa delle scelte linguistiche dell’autore che, ancora lontano dalle preoccupazioni che preludono alla terza e ultima scrittura dell’opera, crea un tessuto verbale ricco, ove s’intrecciano e si alternano tracce di lingua letteraria, elementi dialettali, latinismi e prestiti di lingue straniere. Nella seconda Introduzione a Fermo e Lucia l’autore definì la lingua usata «un composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un po’ francesi, un po’ anche latine; di frasi che non appartengono a nessuna di queste categorie, ma sono cavate per analogia e per estensione o dall’una o dall’altra di esse», definita anche come buona lingua. Oltre all’aspetto linguistico, che Manzoni maturerà per tutti gli anni ’20 e ’30 (fino alla stesura della Quarantana), il Fermo e Lucia differisce profondamente da I promessi sposi per la struttura narrativa più pesante, dominata dalla suddivisione in quattro tomi e dalla mancata scorrevolezza dell’intreccio narrativo, dovuta ai frequenti interventi dell’autore o alla narrazioni dettagliate delle vicende di alcuni protagonisti («una cooperativa di storie e “biografie”»), specie della Monaca di Monza.

L’Edizione del 1827

Differente per struttura narrativa, cornice, presentazione dei personaggi e uso della lingua è invece la prima edizione de I promessi sposi, rivisitata dal Manzoni grazie all’aiuto degli amici Ermes Visconti e Claude Fauriel. Questa stesura dell’opera (la cosiddetta ventisettana, che è la prima edizione a stampa) fu pubblicata da Manzoni nel 1827 (in tre tomi distinti tra il 1825 e 1827) con il titolo I promessi sposi, con l’aggiunta del sottotitolo storia milanese del sec. XVII, scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni, riscuotendo un notevole successo di pubblico. La struttura più equilibrata (quattro sezioni di estensione pressoché uguale), la decisa riduzione di quello che appariva un “romanzo nel romanzo”, ovvero la storia della monaca di Monza, la scelta di evitare il pittoresco e le tinte più fosche a favore di una rappresentazione più aderente al vero, sono i caratteri di questo che è in realtà un romanzo diverso da Fermo e Lucia

Oltre alla struttura linguistica, cambiano anche i nomi dei personaggi e, in alcuni casi, anche il loro carattere. Oltre a Fermo che diventa Renzo, il nobile Valeriano diventa definitivamente Don Ferrante, così come il Conte del Sagrato cambia il suo nome nel ben più celebre Innominato. In quest’ultimo caso, il personaggio cambia radicalmente: il Conte del Sagrato non possiede l’indole riflessiva, tragicamente esistenziale nel rimembrare le sue colpe, della sua controparte dell’Innominato. Il Conte del Sagrato, infatti, è «un killer d’alto rango, che delinque per lucro […] ha anche una tinteggiatura politica antispagnola», elementi non presenti nell’Innominato.

L’attenzione alla lingua

Linguisticamente, Manzoni abbandona il composto indigesto linguistico dell’edizione precedente per avvicinarsi al toscano in quanto è ritenuta dal Manzoni, per il suo lessico “pratico” utilizzato sia presso gli aristocratici che i popolani, la lingua più efficace per dare un tono realistico e concreto al suo romanzo. Manzoni, che in famiglia parlava o il francese (lingua della nobiltà e delle classi colte) o il dialetto milanese, tra il 1824 (ancor prima del termine della stesura) e il 1827 cercò di imparare il toscano attraverso strumenti linguistici, utilizzando il dizionario Cherubini (italiano-milanese) e il Grand dictionnaire français-italien di François d’Alberti de Villeneuve per la traduzione in italiano dei lemmi francesi. Non era tuttavia soddisfatto del risultato ottenuto, poiché il linguaggio dell’opera era ancora troppo debitore delle proprie origini lombarde, e quindi artificioso. Nello stesso 1827, si recò a Firenze, per “risciacquare – come disse – i panni in Arno” e sottoporre il romanzo ad un’ulteriore e più accurata revisione linguistica, affrancandola dal dialetto toscano in generale, e rendendola aderente al dialetto fiorentino, visto ancor più adatto al realismo che si prefiggeva. Una scelta destinata ad incidere profondamente nella nascita dell’italiano standard del neonato Regno d’Italia, grazie alla relazione che il Manzoni stesso inviò, nel 1868, al ministro per l’istruzione Broglio per l’insegnamento dell’italiano nelle scuole statali.

L’edizione del 1840

L’edizione definitiva de I promessi sposi, realizzata tra l’ottobre del 1840 e il novembre del 1842 con l’aggiunta in appendice della Storia della colonna infame, fu decisa sia per la volontà da parte dell’autore di rinnovare l’impianto stilistico e linguistico della ventisettana dopo l’esperienza fiorentina, sia per la spinta che Manzoni ricevette da parte della seconda moglie, Teresa Borri – grande ammiratrice dell’opera manzoniana -, e da quella dell’amico di lunga data Tommaso Grossi, i quali intravedevano numerosi introiti dalla nuova edizione. La revisione della seconda edizione, che essenzialmente differisce da quella del 1827 per la revisione linguistica dal toscano al fiorentino colto, vide il prezioso aiuto della fiorentina Emilia Luti, governante dei figli dello scrittore, con la quale mantenne un’intensa corrispondenza epistolare anche dopo che l’istitutrice lasciò i Manzoni per i Litta-Modigliani. Alcuni critici suggeriscono altresì che l’ormai ultracinquantenne Manzoni, distaccato da anni di inattività poetica, abbia deciso di smussare alcune espressioni troppo vicine alla sfera lirica.

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