Nel 1812 Manzoni cominciò la stesura degli Inni sacri: l’autore voleva scrivere nell’ordine Il Natale, L’Epifania, La Passione, La Risurrezione, L’Ascensione, La Pentecoste, Il Corpo del Signore, La Cattedra di San Pietro, L’Assunzione, Il Nome di Maria, Ognissanti e I Morti ma ne portò a termine solo cinque: La Risurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste. I primi quattro furono scritti tra l’aprile 1812 e l’ottobre 1815 e pubblicati in un volumetto presso l’editore milanese Pietro Agnelli alla fine del 1815, mentre la stesura de La Pentecoste, iniziata nel 1817, fu completata solo cinque anni più tardi, rallentata da altre opere cui l’autore attese nei medesimi anni, tra cui spiccano le due tragedie e la prima versione del romanzo. L’Ognissanti (1830-1847) restò in stato di frammento, come altre possibili aggiunte agli Inni (Il Natale del 1833 e il brevissimo Dio nella natura). La poesia religiosa del Manzoni è infine completata dalle Strofe per una Prima Comunione. L’intenzione dell’autore è quella di una poesia popolare, da cui lo stile talvolta si allontana perché ancora influenzato dalla formazione neoclassica, per poi ritornare alla comunità dei credenti (l’ecclesia cristiana) che innalza, insieme al poeta, un canto di lode a Dio, unica sicurezza contro il male sempre imperante nella Storia. Questa dimensione corale emerge soprattutto nella Pentecoste, ove i «figli d’Eva» (v. 71), sparsi in tutto il mondo, trovano unità nella fede in Dio.
IL NATALE
- Qual masso che dal vertice
- Di lunga erta montana,
- Abbandonato all’impeto
- Di rumorosa frana,
- Per lo scheggiato calle
- Precipitando a valle,
- Batte sul fondo e sta;
- Là dove cadde, immobile
- Giace in sua lenta mole;
- Né, per mutar di secoli,
- Fia che riveda il sole
- Della sua cima antica,
- Se una virtude amica
- In alto nol trarrà:
- Tal si giaceva il misero
- Figliol del fallo primo,
- Dal dì che un’ineffabile
- Ira promessa all’imo
- D’ogni malor gravollo,
- Donde il superbo collo
- Più non potea levar.
- Qual mai tra i nati all’odio
- Quale era mai persona
- Che al Santo inaccessibile
- Potesse dir: perdona?
- Far novo patto eterno?
- Al vincitore inferno
- La preda sua strappar?
- Ecco ci è nato un Pargolo,
- Ci fu largito un Figlio:
- Le avverse forze tremano
- Al mover del suo ciglio:
- All’uom la mano Ei porge,
- Che si ravviva, e sorge
- Oltre l’antico onor.
- Dalle magioni eteree
- Sporga una fonte, e scende
- E nel borron de’ triboli
- Vivida si distende:
- Stillano mele i tronchi;
- Dove copriano i bronchi,
- Ivi germoglia il fior.
- O Figlio, o Tu cui genera
- L’Eterno, eterno seco;
- Qual ti può dir de’ secoli:
- Tu cominciasti meco?
- Tu sei: del vasto empiro
- Non ti comprende il giro:
- La tua parola il fe’.
- E Tu degnasti assumere
- Questa creata argilla?
- Qual merto suo, qual grazia
- A tanto onor sortilla?
- Se in suo consiglio ascoso
- Vince il perdon, pietoso
- Immensamente Egli è.
- Oggi Egli è nato: ad Efrata,
- Vaticinato ostello,
- Ascese un’alma Vergine,
- La gloria d’Israello,
- Grave di tal portato:
- Da cui promise è nato,
- Donde era atteso uscì.
- La mira Madre in poveri.
- Panni il Figliol compose,
- E nell’umil presepio
- Soavemente il pose;
- E l’adorò: beata!
- Innanzi al Dio prostrata
- Che il puro sen le aprì.
- L’Angel del cielo, agli uomini
- Nunzio di tanta sorte,
- Non de’ potenti volgesi
- Alle vegliate porte;
- Ma tra i pastor devoti,
- Al duro mondo ignoti,
- Subito in luce appar.
- E intorno a lui per l’ampia
- Notte calati a stuolo,
- Mille celesti strinsero
- Il fiammeggiante volo;
- E accesi in dolce zelo,
- Come si canta in cielo,
- A Dio gloria cantar.
- L’allegro inno seguirono,
- Tornando al firmamento:
- Tra le varcate nuvole
- Allontanossi, e lento
- Il suon sacrato ascese,
- Fin che più nulla intese
- La compagnia fedel.
- Senza indugiar, cercarono
- L’albergo poveretto
- Que’ fortunati, e videro,
- Siccome a lor fu detto,
- Videro in panni avvolto,
- In un presepe accolto,
- Vagire il Re del Ciel.
- Dormi, o Fanciul; non piangere;
- Dormi, o Fanciul celeste:
- Sovra il tuo capo stridere
- Non osin le tempeste,
- Use sull’empia terra,
- Come cavalli in guerra,
- Correr davanti a Te.
- Dormi, o Celeste: i popoli
- Chi nato sia non sanno;
- Ma il dì verrà che nobile
- Retaggio tuo saranno;
- Che in quell’umil riposo,
- Che nella polve ascoso,
- Conosceranno il Re.
Parafrasi
L’uomo giace in terra come un masso che, caduto dalla vetta (vertice) lungo il ripido pendio (lunga erta), franando rumorosamente lungo il irregolare solco (calle) precipita a valle e resta immobile (e sta– l’abbondanza di aggettivi e la forte accentuazione sull’ultima sillaba a chiusura del verso, rendono fonicamente e visivamente l’idea del precipitare del masso e della sua statica immobilità del suo arrestarsi).
Là dove è caduto rimane immobile nella sua inerte (lenta) mole; non accadrà (fia) nel tempo (per mutar di secoli) che egli possa ritornare a vedere il sole della sua antica altezza (il sua denota l’umanizzazione del sasso) se non per un intervento benevolo (virtude amica) che lo riporti sulla vetta (in alto).
Così (tal – sottolinea il paragone tra l’inerte umanità colpevole e l’inerte masso alla fine della caduta) giaceva l’uomo (misero – intende l’umanità in generale caduta nell’abiezione del peccato), figlio del peccato originale (il fallo primo) dal giorno che un’inesprimibile (ineffabile – che non si può esprimere a parole; trascendente l’intelligenza umana) punizione promessa [da Dio ad Adamo e Eva] (ira promessa) oppresse (gravollo) l’uomo fino al fondo (imo – lat.) di ogni male. Percui non poteva più sollevare il superbo [il peccato originale fu un peccato d’orgoglio, in quanto cosciente violazione di un divieto divino e quindi un peccato di superbia] collo.
[La quarta strofa è caratterizzata da una serie di domande retoriche]
Quale (Qual/Quale – anafora) tra i nati dopo il peccato originale (nati all’odio – Dio non può che odiare il peccato) poteva rivolgersi a Dio (Santo inaccessibile) per chiedere perdono, fare un nuovo patto (nuovo patto eterno – espressione biblica, intende patto d’amore con Dio) e strappare all’inferno vincitore la sua preda (cioè l’uomo che Satana era riuscito a far cadere in peccato).?
[Manzoni in questo verso annuncia la nascita del Salvatore attraverso la citazione di un passo biblico (Ecco…figlio –Isaia IX,6) e l’avvento della nuova speranza grazie all’incarnazione di Cristo.]
All’umanità peccatrice è nato un bimbo, un figlio, al cui muovere delle ciglia tremano le forze avverse a Dio (avverse forze = dell’inferno). Questo bimbo (Ei) porge la mano all’uomo, lo risolleva dal peccato e lo riconcilia con Dio facendolo tornare all’antica considerazione (antico onor).
Dalle sedi celesti (magioni eteree) sgorga una fonte (della Grazia), e come l’acqua scorre nel burrone irto di rovi (nel borron de’ triboli) e fa crescere (vivida si distende) frutti e fiori dove gli sterpi ricoprivano tutto (dove copriamo i bronchi), [così essa ristora e ricrea l’umanità tribolata dal peccato].
[Il paesaggio descritto è di origine mediorientale, dove esistono letti di fiumi perlopiù secchi e quindi pieni di rovi e che si riempiono solo nella stagione delle piogge.]
O figlio [di Dio], tu (Tu/tu/tu – anafora) generato da Dio eterno (cui genera l’Eterno è il concetto teologico della relazione tra l’eternità del figlio e quella del padre che è nata non coi secoli ma prima dei secoli e quindi trascende il tempo) ed eterno tu stesso [come Lui]; chi mai, [al di fuori di Dio] potrà vantarsi di essere nato assieme a te? [concetto della sovratemporalità di Dio]
Tu esisti e nemmeno l’estensione del cielo più ampio (vasto empiro) può comprenderti [concetto della sovra spazialità di Dio]. Il cielo stesso è creato dalla tua parola (la tua parola il fe’).
E tu ti sei umiliato a incarnarti nell’uomo (creata argilla – richiamo biblico alla creazione di Adamo). Quale merito o quale atto gradito a Dio (grazia) la elesse (sortilla) ad un così grande onore?
Se nei giudizi imperscrutabili di Dio (suo consiglio ascoso) il perdono vince [sulla vendetta] allora la sua pietà è veramente infinita.
Oggi Egli è nato a Betlemme (Efrata), luogo indicato nella profezia come luogo natale del Messia (vaticinato ostello) .
Salì (ascese – Betlemme era su un colle) una donatrice di vita (alma) vergine [la Vergine Maria], gloria d’Israele, gravida di tale figlio (grave di tal portato). E’ nato dalla stirpe da cui aveva promesso di nascere e dove era atteso secondo come la profezia. [del profeta Michea]
La ammirabile (mira) madre ravvolse (compose) il figlio in poveri panni e nell’umile presepe lo adagiò (soavemente il pose); e l’adorò: beata! Prostrata davanti a Dio [che era figlio ma anche Dio padre] che le dischiuse il seno verginale (che il puro sen le aprì) [facendola madre del Redentore].
L’angelo che annuncia un così grande evento (nunzio di tanta sorte), non si rivolge alle sorvegliate (vegliate) porte dei potenti ma ai pastori devoti, ignorati dal mondo insensibile (al duro mondo ignoti), all’improvviso (subito) appare illuminato dalla luce divina.
E attorno a lui nella notte scesero dal cielo in gran numero (calati a stuolo) migliaia di angeli che si strinsero intorno a lui in quel volo di luce (fiammeggiante volo) e accesi di letizia angelica (dolce zelo) cantarono gloria a Dio come la si canta in cielo.
Continuarono (seguirono) il lieto inno tornando in cielo (firmamento): attraversando le nuvole si allontanarono e lentamente la musica sacra si affievolì salendo (ascese) finchè i pastori devoti (la compagnia fedel) non udirono più nulla.
Senza indugiare cercarono la capanna (l’albergo poveretto) quei fortunati [perché potevano andare ad adorare il Messia] e videro (videro…videro la ripetizione del verbo serve a dare efficacemente l’idea del rapimento estatico dei pastori) avvolto nei panni, adagiato in un presepe il pianto del Re del cielo (vagire il Re del Ciel – vi è un efficace accostamento tra umano e divino)
[Le ultime due strofe sono modulate in forma di ninna nanna]
Dormi fanciullo, non piangere; dormi o fanciullo divino (celeste – del cielo): Non osino sopra il tuo capo sibilare (stridere) le tempeste [intese non tanto come avversità della natura quanto come avversità fisiche e morali] abituali sulla terra empia (empiaperché peccatrice), come cavalli in guerra che corrono davanti a te.
Dormi, o creatura celeste: i popoli non sanno chi è [appena] nato ma verrà il giorno in cui saranno tutti tuoi sudditi [nobile retaggio tuo saranno – quando la parola di Cristo si diffonderà nel mondo per opera degli apostoli]; e in quel misero rifugio ora riposa (umil riposo – nella mangiatoia dove il bambino riposa), e si nasconde nella polvere (nella polve ascoso) colui nel quale riconosceranno il [loro] Re .