In seguito al deludente soggiorno a Roma, Leopardi, in piena crisi esistenziale, abbandona per sei anni (1822-1828) la poesia. Già dalle ultime canzoni, come L’ultimo canto di Saffo, è evidente un’evoluzione nella concezione pessimistica del poeta; in questi anni si assiste quindi al passaggio dal pessimismo storico, in cui Leopardi rimpiange il tempo passato come un periodo ricco di immaginazione e fantasia, al pessimismo cosmico. La Natura non è più madre benigna, che si prende cura dell’uomo e gli nasconde con piacevoli illusioni la crudele realtà della vita, ma diviene matrigna crudele, che ha generato l’uomo per poi abbandonarlo alle sue sofferenze. Leopardi assume una visione meccanicistica dell’universo – idea mutuata dall’Illuminismo – ma, al contrario dei filosofi del Settecento, la sua è una visione profondamente negativa, prova dell’impotenza dell’uomo di fronte alle leggi della Natura e della sorte (idea in parte presente nel Bruto Minore e L’ultimo canto di Saffo). La Natura non è caritatevole, si muove in un ciclo incessante di distruzione e creazione, con il solo intento di autoconservarsi; l’uomo non è centrale, ma una vittima di questo ciclo eterno.
Questa nuova concezione filosofica viene sviluppata in un’opera in prosa, scritta per lo più nel 1824 e con aggiunte successive: si tratta delle Operette morali. Le Operette sono 24 testi (per lo più di stampo satirico e di stile ironico), sviluppati in forma dialogica, e di argomento filosofico. In questa opera Leopardi sistema in forma unitaria i pensieri e le riflessioni sparsi dello Zibaldone, donando veste letteraria ai contenuti filosofici con ironia e distacco. Viene abbandonata la prospettiva soggettiva, autobiografica e della protesta civile, propria delle Canzoni e degli Idilli, per poter mostrare la realtà dell’esistenza e della condizione umana, svelando così le illusioni con cui l’uomo riesce a rendere più accettabile la sua vita. La sua esperienza personale assume un valore esemplare. La forma del dialogo ironico è mutuata dalla letteratura classica (si considerino i dialoghi platonici), ma in particolare da Luciano di Samosata, tardo scrittore greco del II secolo d.C., autore di dialoghi satirici e polemici di contenuto filosofico, morale e religioso.
Le Operette morali sono caratterizzate da una grande varietà di temi;in particolare Leopardi si concentra nella dura critica delle ottimistiche concezioni filosofiche ottocentesche: l’idea di un progresso continuo, l’illusione della felicità e l’immortalità dell’anima. Critica soprattutto le teorie antropocentriche, che vedono l’universo come creato con il solo fine della soddisfazione umana. Le Operette morali sono apparse “come l’espressione di un ateismo che negava insieme la religione e il progresso: che si opponeva, quindi, totalmente allo «spirito del secolo»” (Sebastiano Timpanaro, Classicismo e Illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri Lischi, 1965). Qui sono evidenti il pessimismo cosmico e la presa di coscienza della esistenziale infelicità umana. L’uomo non è al centro del cosmo, ma solo una particella; la Natura opera in maniera autonoma, indifferente all’uomo. Collegato a questa concezione è anche il tema della morte, sviluppato in diversi dialoghi: la morte è l’unica liberazione possibile per l’uomo e, in quanto cessazione del dolore della vita, assume una connotazione positiva1. La vita, in gran parte delle Operette, pare assurda e priva di senso, caratterizzata dalla noia da cui si cerca invano di fuggire(anche se Leopardi, lontano in questo dalle correnti nichiliste, non abbandona mai la ricerca di un possibile senso al dolore umano): se “non fossimo in su queste navi, in mezzo di questo mare, in questa solitudine incognita, in istato incerto e rischioso quanto si voglia; in quale altra condizione di vita ci troveremmo essere? in che saremmo occupati? in che modo passeremmo questi giorni? Forse più lietamente? o non saremmo anzi in qualche maggior travaglio o sollecitudine, ovvero pieni di noia? … Quando altro frutto non ci venga da questa navigazione, a me pare che ella ci sia profittevolissima in quanto che per un tempo essa ci tiene liberi dalla noia, ci fa cara la vita” (Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez).
1 Si veda, ad esempio, l’operetta conclusiva Dialogo di Tristano e di un amico
Leopardi scrisse quasi tutte le Operette morali tra il 1824 e il 1827. In esse si rintracciano alcuni temi centrali: quello dell’illusione e della felicità impossibile (per esempio, in Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo); quello della natura e del piacere (Dialogo della Natura e di un’Anima, Dialogo della Natura e di un Islandese); quello della noia peggiore del dolore (Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez); quello che riguarda, più in generale, la responsabilità dell’individuo verso se stesso e verso la società (Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie). Nuove tematiche introducono prose più tarde (1832), come il Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere e il Dialogo di Tristano e di un amico, nelle quali affiora una visione più pacata e insieme più eroica della vita. Le Operette sono a un tempo un libro di filosofia e di poesia: idee e ragionamenti si trasfigurano quasi sempre in immagini e allegorie, grazie a una prosa lavoratissima che rinnova modelli antichi (soprattutto i dialoghi di Luciano) con “leggerezza apparente”, con soluzioni originali e vivaci che consentono l’alternanza di meditazione e ironia, di aperture liriche e serrati scambi dialettici.