Dei Sepolcri è un carme composto nel 1806 e pubblicato nel 1807. Due sono gli spunti che portano Foscolo alla composizione del carme: l’editto di Saint-Cloud del 1806 e una conversazione nel salotto di Isabella Teotochi Albrizzi con Ippolito Pindemonte. L’editto di Saint-Cloud, imponeva la sepoltura dei morti fuori dalle mura delle città e stabiliva che le lapidi dovessero essere tutte uguali e prive di decorazioni magniloquenti. Un editto che risentiva di riflessioni egualitarie della rivoluzione francese, ma anche stabilito perquestioni igienico-sanitarie. La conversazione con Ippolito Pindemonte porta Foscolo a riflettere sul rapporto tra vivi e morti e tra presente e passato, e quindi sul senso di continuità tra presente e gloria del passato, che è ciò che ispira e infiamma gli uomini. La struttura del carme, costituito da endecasillabi sciolti, presenta una costruzione simile a quella dei sonetti di Foscolo, cioè di trattare gli argomenti attraverso una successione di immagini, secondo i dettami dell’ars poetica, ritenendo che la pittura e la scrittura si equivalgano. Grazie alla struttura del componimento, più libera rispetto a quella del sonetto, il poeta può usare periodi di varia lunghezza e dare massima elasticità ai versi e al ritmo. Il passaggio da un’immagine all’altra, che avviene senza spiegazioni e analisi, rende spesso il carme oscuro. Foscolo spiegherà poi in una lettera a Monsieur Guillon e nelle sue lezioni di eloquenza a Pavia che per lui le idee attraverso la poesia si devono dipingere come immagini nell’animo dell’uomo attraverso la sua capacità di sentire e vedere tramite le sensazioni. Nei Sepolcri è forte l’uso della figura retorica dell‘ipotiposi, cioè una descrizione incompleta che deve essere completata dall’immaginazione di chi ascolta o legge.
Costruito con endecasillabi sciolti, il carme presenta un tratto stilistico già visto nei sonetti, nelle poesie di Foscolo, cioè un certo modo di dipingere quelle parole, cioè di trattare gli argomenti attraverso la successione e la variazione di immagini. Non avendo un rigido metro del sonetto e quindi la misura stretta delle quartine e delle terzine, è libero di debordare, usare periodi di varia lunghezza e dare massima elasticità ai versi e al ritmo. Foscolo applica così il principio dell’ut pictura poesis, sancita nell’Ars poetica, ossia il principio secondo cui la pittura e la poesia si equivalgono, cioè attraverso le parole il poeta deve portare all’attenzione gli elementi, ora mostrando ora nascondendo, grazie alla capacità, alla sapienza stilistica dell’occultare e del mostrare. Foscolo infatti nel carme tende a transitare da immagini molto elaborate, molto ricche ad altre immagini, senza rivelare l’aspetto argomentativo e ideologico; in sostanza, mostra, fa immaginare, ma non descrive e non analizza. È talmente bravo in questo che presso i contemporanei il carme risultò abbastanza oscuro, come si evince da una lettera che Foscolo scrisse a Monsieur Guillon, un francese che, complice anche la scarsa padronanza della lingua, scrisse una stroncatura del carme. In questa lettera spiega che il punto che lui deve far vedere è la tessitura completa e non tanto il singolo ordito e i vari ricami e fa vedere anche che è la capacità combinatoria degli elementi e quindi il disegno complessivo a denotare la capacità poetica. Lontano dalla pratica poetica, ma in sede di esposizione teorica, ribadirà questo concetto nelle lezioni che terrà a Pavia nel 1809 per la cattedra di Eloquenza e stile; cito dalla lezione Della morale letteraria:
L’eloquenza insomma, qualunque argomento maneggi, e sotto qualunque forma, in prosa od in versi, deve ottenere che il cuore senta, che l’immaginazione s’infiammi, che le idee si dipingano vive, calde e presenti dinanzi la mente, e che queste fortissime sensazioni ed idee risveglino ed invigoriscano l’attività della nostra ragione, e ci facciano non tanto calcolare la verità quanto sentirla e vederla.
Questa pratica per Foscolo prescinde dalla divisione in versi o in prosa perché dice “sotto qualunque forma, in prosa od in versi; è la capacità che ha quasi innata e che si concretizza nella parola che deve avere il poeta e soprattutto l’idea che debba trasmettere facendo immaginare le sensazioni, quindi deve calare l’idea e l’emozione nella forma. Oltre dell’idea classica, risente anche delle teorie settecentesche sul genio e in particolare, visto che è un intellettuale che Foscolo conosceva, dell’opera Dei Geni di Bettinelli che parla del genio trasfuso, cioè del genio che riesce a infondere nella propria opera la sua capacità di sentire e di vedere attraverso le sensazioni.
L’idea è visibile in ciò che il poeta mostra nonché per accumulo e varietà di immagini. In sintesi, qual è questa idea ne Dei Sepolcri? L’idea che il rapporto con la morte non sia tanto una questione filosofica o emotiva, ma abbia – e il Foscolo lo espliciterà nella già citata lettera a Guillon – un valore politico, cioè a quanto in termini di valore del passato l’uomo della civiltà presente riesce a far vivere per spirito di emulazione e perché attraverso l’ispirazione e la forza d’animo mossi da questi grandi esempi, è spinto anche lui a fare grandi cose e quindi anche l’amore per la gloria e la bellezza. Molto forte è la capacità di far visualizzare; come vedremo meglio nelle prossime lezioni, in retorica questo corrisponde a una figura retorica che descrive questo principio: l’ipotiposi. Deriva dal greco e significa “abbozzo”; è un disegno incompleto perché è l’idea che il disegno tracciato con le parole debba essere completato dall’immaginazione di chi legge o ascolta. Quintiliano nella Institutio oratoria la definisce come una rappresentazione delle cose attraverso le parole, tali che sembra di vederle. L’ipotiposi ha una sua teatralità: il poeta non ci descrive indirettamente, ma ci fa comparire attraverso le deissi, cioè le collocazioni spazio-temporali, le cose nel momento in cui accadono o attraverso le parole cerca di evocarle in maniera immediata e repentina. Tenete presente che è sempre qualcosa legato all’immaginazione e alla capacità dell’autore di far immaginare; non è una figura retorica facilmente individuabile perché non ha dei connotati linguistici propri. È qualcosa che si riesce a capire attraverso la lettura e l’analisi perché c’è una maggiore densità di verbi, per esempio legati alle sensazioni, o di altre parole e forme linguistiche che esprimono sensazioni.
Già nell’incipit c’è questa idea anche se non molto forte:
All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? […]
Per introdurci il fatto che i morti quando riposano non sentono, Foscolo non si limita a utilizzare l’interrogativa drammatizzando, puntando l’attenzione sul destinatario della poesia perché l’interrogativa si rivolge a qualcuno. Usa al contempo l’immagine del cipresso di giorno e quindi dell’ombra che il cipresso proietta; ci fa capire che c’è qualcuno che sta piangendo questi morti quindi abbiamo sensazioni visive e uditive. Qui non abbiamo un’ipotiposi vera, bensì un addensarsi di stimoli sensoriali perché non sappiamo come sia fatta la tomba, che tipo di tomba sia e non sappiamo chi stia piangendo, ma siamo subito calati in una dimensione attraverso il linguaggio; in esso prestiamo attenzione non tanto a quello che il poeta dice, ma agli stimoli, alle impressioni visive e sensoriali che ci trasmette attraverso la parola.