La poesia italiana nasce in ritardo rispetto a quella di altre regioni europee. Già prima del Mille, in area francese, germanica e anglosassone vengono prodotti testi in versi d’argomento leggendario o devoto, scritti nei volgari locali; col nuovo millennio, poi, si afferma nelle città e nelle corti francesi la nuova letteratura delle chansons de geste, che narrano le leggende legate alla corte di Carlo Magno e alle gesta mitiche dei suoi paladini, mentre a sud, nelle corti provenzali, ha inizio la tradizione lirica dei trovatori.
I primi documenti di poesia italiana in volgare si collocano invece tra la fine del Cento e l’inizio del Duecento.
Come era accaduto anche nelle altre letterature romanze, il distacco dal latino è infatti spesso motivato dall’esigenza di far intendere un messaggio edificante a un pubblico di incolti. Si tratta dunque – come nel caso del Ritmo cassinese (così definito perché prodotto probabilmente nell’abbazia di Montecassino) o del Ritmo su Sant’Alessio (uno dei molti testi relativi alla leggenda del santo, diffusissima nel Medioevo) – di componimenti elementari sia per la struttura metrica e retorica, sia per i concetti adoperati (nessuna complicazione teologica ma semplici inviti alla virtù e aneddoti esemplari).
Più tardi, a partire dagli anni Venti e del Duecento, la poesia religiosa in volgare conoscerà un’espansione più organica, concentrata nelle regioni centro-settentrionali della penisola. Al Centro, spiccano due tra le massime figure della spiritualità cristiana del tempo, san Francesco d’Assisi e Iacopone da Todi, membro dell’ordine di san Francesco, al cui nome è legata l’espansione del genere poetico di materia sacra, la lauda.
A Nord, ormai nella seconda metà del Duecento, altri poeti legati alla Chiesa compongono lunghi testi di argomento morale a sfondo cristiano, ciascuno nel suo volgare nativo: i più importanti sono il veronese Giacomino, il milanese Bonvesin da la Riva e il cosiddetto Anonimo Genovese.