Il percorso creativo di Stefania Sergi, artista a tutto tondo, ma finora conosciuta più per le sue produzioni pittoriche e plastiche, si arricchisce di una tappa in cui essa si cimenta con la materia-parola; una materia forse più “resistente” della creta,del legno e dei colori poiché, nei significati,già codificata, convenzionale.
Il rischio era quindi quello di una minore libertà espressiva, ridotta alla sola possibilità di combinare parole già note in modi originali, autentici. E il modo in cui Stefania Sergi le combina non è prevedibile, la sua non è musica già ascoltata.
È un’irruzione del dire nutrito e “spinto”da una soggettività anomala e intensa che “rompe gli accordi e riparte dal (suo) zero”. È una poesia femminile e forte, densa di una sotterranea energia che sovente sfocia in sentenze lapidarie.
La parola di Stefania sembra rivendicare al femminino il diritto all’angoscia, alla tenerezza, allo spaesamento, al coraggio, alla sensualità, all’incomprensibilità; alla ricchezza, in fondo, dell’esperienza che chiamiamo vita.
E siamo lontanissimi, beninteso, da una certa elegia dell’impotenza e dell’abbandono. Stefania conosce lo strazio e lo slancio, la perdita e il riscatto. Con le sue parole: “Conosco l’ermetica forza come la potenza del vulcano, come la perseveranza di una formica, come le stelle che attorcigliano la vita, come l’odore del mare che si beve l’infinito tramonto…”
Piero Campanile Filosofo