un orrore senza fine

Autore: Alessandra (page 2 of 3)

Insegnante di Lettere Moderne.
Scrittrice appassionata di Storia.

1944: ANNO CRUCIALE

Le disfatte in Africa, Russia e Italia dimostrarono che la potenza nazi-fascista era prossima alla sconfitta. Churchill, Roosevelt e Stalin, alla conferenza di Teheran avevano sta- bilito di aprire un fronte che colpisse direttamente il cuore dell’Europa.

Lo sbarco in Normandia

Si progettò quindi lo sbarco in Normandia (operazione Overlord) che avvenne il 6 giugno 1944. Gli Anglo-americani sbarcarono sulle coste francesi con 350 000 uomini, mettendo in campo 6500 aerei e circa 6400 navi. Nel mese di agosto truppe alleate sbarcarono anche nel sud della Francia, nei pressi di Cannes. Gli alleati e il generale De Gaulle entrarono a Parigi il 26 agosto.

I Tedeschi erano ormai impegnati a oriente dai Russi e sui fronti meridionale e occidentale dagli Anglo-Americani. Hitler, che il 20 luglio 1944 era sfuggito a un attentato organizzato da alcuni ufficiali della Wehrmacht, ordinò una strenua resistenza. A oriente, l’Armata Rossa varcò il 10 ottobre i confini del Reich, portando la guerra in territorio germanico.
In Italia, nel mese di maggio gli Alleati scatenarono l’offensiva su Cassino, sbloccando così un lungo stallo e facendo il loro ingresso a Roma il 4 giugno. L’offensiva, coadiuvata dalle forze partigiane, condusse anche alla liberazione di Firenze (22 agosto), bloccandosi però lungo la linea difensiva tedesca allestita tra Pisa e Rimini (linea gotica).

Nel Pacifico gli Americani avevano avviato fin dal mese di gennaio un’offensiva in Birmania, estesa poi a giugno alle isole Marianne. Gli Americani avevano ormai conquistato il dominio del mare e dell’aria: nella seconda metà del 1944 vinsero i Giapponesi anche nelle battaglie navali delleFilippine e del golfo di Leyte.

LA RESISTENZA IN ITALIA

Dal 25 luglio all’8 settembre 1943

Le sconfitte e i disagi provocati dalla guerra avevano generato in Italia un forte risentimento contro il regime. Nei giorni dello sbarco alleato in Sicilia (10 luglio 1943), il re maturò la decisione di liquidare Mussolini in accordo con i vertici del partito fascista. Nella notte tra il 24 e 25 luglio il duce fu messo in minoranza dal Gran Consiglio del Fascismo in seguito a un ordine del giorno che rimetteva il potere nelle mani del sovrano. Il re fece arrestare Mussolini e nominò il maresciallo Pietro Badoglio capo di un governo incaricato di aprire trattative di armistizio con gli Alleati.
Mentre Hitler si apprestava a imporre con la forza il controllo tedesco sull’Italia, Badoglio l’8 settembre annunciò l’armistizio senza dare direttive precise all’esercito che si disgregò. Il 9 settembre la famiglia reale e Badoglio lasciarono Roma per sfuggire ai Tedeschi e mettersi sotto la protezione alleata a Brindisi: terminò così il governo dei 45 giorni seguito alla caduta di Mussolini.
Le truppe tedesche occuparono quindi Roma, dove popolo e militari sbandati resistettero due giorni prima di capitolare (fu uno dei primi episodi della Resistenza italiana). Mentre nell’Italia settentrionale Mussolini (liberato dai paracadutisti tedeschi dalla prigionia sul Gran Sasso) fondava, sotto la tutela nazista, la Repubblica Sociale Italiana (RSI, 23 settembre), il governo italiano, affidato ancora a Badoglio, dichiarò guerra alla Germania (13 ottobre).

Nelle regioni della Venezia Giulia e dell’Istria, il crollo delle istituzioni fasciste portò a ondate di violenza da parte dei partigiani iugoslavi nei confronti delle minoranze italiane; numerose furono le persone uccise e gettate in profonde cavità carsiche, le foibe. Analoghi atti di violenza contro gli Italiani si ripeteranno nella primavera del 1945.

Sul piano militare, dopo lo sbarco in Sicilia, la marcia della V armata americana del generale Mark W. Clark e dell’VIII armata britannica del generale Montgomery procedette abbastanza rapidamente fino all’autunno, quando si arrestò lungo la linea Gustav, approntata dai Tedeschi attraverso l’Appennino, e incardinata nella posizione strategica di Cassino.

LA RESISTENZA ITALIANA

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, l’Italia si trovò spaccata in due. Nel  Sud, grazie al riconoscimento espresso dall’URSS (13 marzo 1944) e alla svolta di Salerno impressa al PCl da Togliatti su indicazione di Stalin (27 marzo), nacque una convergenza momentanea tra i partiti antifascisti e la Corona (che accettò di mettere in discussione il futuro della monarchia), a sostegno di un nuovo governo Badoglio.

Il centro-nord, invece, era in mano tedesca fino oltre Roma. Liberato il 12 settem- bre 1943 dalla prigionia sul Gran Sasso, Mussolini costituì la Repubblica Sociale Italiana a Salò. Contro i nazifascisti si avviò la guerriglia partigiana, cui aderiro-

no civili e reparti sbandati dell’esercito. Le formazioni partigiane (spesso caratte- rizzate da una forte connotazione politica: quasi la metà erano guidate dal Partito Comunista) furono coordinate da Comitati di liberazione nazionale (CLN), composti da esponenti dei partiti antifascisti e sottoposti all’autorità del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CL- NAI). Alle azioni partigiane (operazioni di sabotaggio, uccisioni di gerarchi fascisti, costituzione di repubbliche temporanee in Ossola e Monferrato) i Tedeschi risposero con fucilazioni di massa (tristemente noti gli episodi delle Fosse Ardeatine, 24 marzo 1944, e di Marzabotto, 29 settembre-1° ottobre 1944).

La Seconda Guerra Mondiale

Il secondo conflitto mondiale fu uno scontro totale, giocato sui fronti dell’Europa, del Nordafrica, dell’Unione Sovietica e dell’Estremo Oriente,
che coinvolse per la prima volta in modo massiccio anche la popolazione civile. Germania, Italia e Giappone, uniti nell’Asse Roma-Berlino-Tokyo, sarebbero uscite distrutte dal conflitto, frustrando le ambizioni nazifasciste di creare
un nuovo ordine internazionale (contenute nel “patto tripartito” sottoscritto
il 27 settembre 1940). In Europa Orientale e nei territori occupati dalla truppe naziste, il conflitto assunse anche i caratteri di un vero e proprio genocidio: Hitler, sostenendo che la razza tedesca (ariana) dovesse sfruttare e poi eliminare quelle ritenute inferiori, rappresentate soprattutto dagli Ebrei,
ordinò l’internamento di milioni di persone in campi di concentramento
e di sterminio dotati di camere a gas e forni crematori; morirono così oltre
5 milioni di Ebrei. La guerra si concluse con la conquista sovietica di Berlino nei primi giorni del maggio 1945 e con lo sgancio di due bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki (agosto 1945). Americani, Sovietici
e Inglesi definirono quindi il nuovo assetto mondiale.

1939 e il 1940

Il conflitto ebbe inizio il 1° settembre 1939 con l’attacco tedesco alla Polonia; il 3 settembre Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania; il 5 settembre Stati Uniti e Giappone proclamarono la neutralità.

L’Italia si dichiarò invece “non belligerante”.

Nei primi mesi di guerra, approfittando dell’atteggiamento attendistico di Parigi e Londra (che speravano in una soluzione pacifica), Hitler, spartita la Polonia con l’Unione Sovietica, occupò anche la Danimarca e la Norvegia (aprile 1940).

Da parte sua l’URSS dichiarò guerra alla Finlandia riuscendo a piegarla nel marzo 1940 e occupando poi nel giugno successivo Lituania, Estonia e Lettonia.

L’attacco alla Francia
Il fronte occidentale, dove era affluito un corpo di spedizione britannico, rimase inattivo per otto mesi in quella che fu chiamata la “strana guerra”, fino al 10 maggio 1940, quando in poco più di un mese la Germania, utilizzando al meglio le forze corazzate e violando la neutralità di Olanda, Belgio e Lussemburgo, invase la Francia. Di fronte alla disfatta, al governo di Parigi restavano due alternative: fuggire e continuare la lotta dal Nordafrica oppure trovare un accordo con gli occupanti (come proposto dal maresciallo Pétain). Prevalse la seconda ipotesi (collaborazionismo). Parigi cadde il 14 giugno, l’armistizio con la Germania fu firmato il 22 giugno: tre quinti del Paese finirono in mano tedesca; Pétain formò un governo filo-nazista nel sud, a Vichy. Il generale De Gaulle, avverso a Pétain, si rifugiò in Inghilterra da dove coordinò la resistenza.

Mussolini, convinto che il conflitto fosse ormai al termine, volle sfruttare il successo tedesco e il 10 giugno dichiarò guerra alla Francia, che il 24 concesse l’armistizio.

La battaglia d’Inghilterra
Le mire tedesche si spostarono quindi verso l’Inghilterra
(dove dal 10 maggio 1940 era primo ministro il conservatore Winston Churchill), che fu sottoposta a una serie di massicci attacchi aerei. Gli Inglesi, tuttavia, aiutati dai primi radar e da un’efficiente aviazione, vinsero la battaglia d’Inghilterra costringendo Hitler ad accantonare i suoi piani (17 settembre).

Mediterraneo e Balcani
Contemporaneamente, l’Italia attaccò gli Inglesi in Africa, senza però andare oltre alcuni successi iniziali. Il 28 ottobre Mussolini, per bilanciare i successi di Hitler, ordinò l’attacco alla Grecia: ma sarà l’appoggio militare tedesco a determinare la vittoria (aprile 1941), accompagnata dalla contemporanea occupazione della Iugoslavia.
Nel Mediterraneo, la marina italiana, infine, subì ingenti perdite a seguito dell’attacco inglese alla base di Taranto (13 novembre 1940).

1941

Nel corso del 1941 Hitler, nonostante il patto di non aggressione con Stalin, mosse contro l’URSS attaccandola il 22 giugno con più di 3 milioni di soldati (operazione Barbarossa). Dopo i primi successi nel corso dell’estate e dell’autunno, cui contribuirono anche truppe romene, ungheresi, slovacche, finlandesi e un corpo di spedizione italiano (CSIR), i Sovietici si riorganizzarono e in dicembre bloccarono i Tedeschi nei pressi di Mosca e di Leningrado. L’URSS, nonostante la passata alleanza con la Germania e nonostante il carattere totalitario del suo regime, fu subito trattata come un’alleata dalla Gran Bretagna e ammessa dagli Stati Uniti ai benefici delle legge Affitti e Prestiti (marzo 1941), legge che attribuiva al presidente statunitense la possibilità di concedere aiuti economici a tutti i Paesi la cui difesa fosse ritenuta vitale per la sicurezza degli USA.

In tal modo gli Stati Uniti attenuarono la loro neutralità trasformandola in non belligeranza. Quando Roosevelt e Churchill firmarono la Carta atlantica (agosto1941)contro i regimi fascisti, impegnandosi a collaborare alla sconfitta della Germania, gli Stati Uniti erano ormai già schierati con gli anglo-francesi. Mentre l’opinione pubblica americana si divideva sull’opportunità dell’intervento, il Paese venne definitivamente trascinato in guerra dal Giappone.

Le alternative di Hitler nel 1941

Uscito sconfitto dalla Battaglia d’Inghilterra nel settembre del 1940, Hitler all’inizio del 1941 controllava però gran parte dell’Europa continentale. Per sconfiggere la Gran Bretagna gli si presentavano due alternative.

La prima, consisteva nell’eliminare Londra dal conflitto colpendola nel cuore del suo impero e privandola delle risorse di materie prime (soprattutto petrolio), con un’azione a tenaglia in Medio Oriente e in Africa settentrionale: tale impre- sa avrebbe richiesto due anni di tempo, consentendo ad americani e sovietici di portare avanti il loro riarmo e di costituire una temibile potenziale minaccia; inoltre, il rifiuto del generale Franco, capo di Stato spagnolo, di entrare in guerra escludeva la possibilità di eliminare la Gran Bretagna dal Mediterraneo con l’occupazione di Gibilterra, Baleari e Marocco spagnolo.

La seconda alternativa consisteva nell’eliminare prima l’URSS, di cui la cattiva prova contro la Finlandia aveva rivelato l’intrinseca debolezza, per poi river- sare in Africa e in Asia le forze tedesche con le spalle ormai coperte. Fu così che Hitler decise di lanciare l’attacco all’Unione Sovietica nel giugno del 1941.

L’attacco giapponese a Pearl Harbor
Dopo lunghi contrasti per la questione della penetrazione nipponica nel Sud-Est asiatico, Tokyo e Washington non erano infatti riusciti a ricomporre diplomaticamente i loro contrasti. Il 7 dicembre 1941 l’aviazione giapponese attaccò senza preavviso la flotta americana all’ancora a Pearl Harbor, nelle Hawaii. Nel giro di poche settimane i Giapponesi sbarcano quindi nelle Filippine, inThailandia e occuparono Hong Kong. Anche Germania e Italia dichiarano guerra agli Stati Uniti. Il conflitto assunse così una dimensione mondiale.

1942 La svolta e l’inizio della fine!

Germania, Italia e Giappone estesero al massimo le loro conquiste ma a partire da giugno tre battaglie fondamentali su tre fronti diversi, nell’Oceano Pacifico, in Africa settentrionale e in Unione Sovietica, segnarono un’inversione di rotta nelle sorti del conflitto.

l fronte del Pacifico
Nel Pacifico
, dopo i grandiosi successi iniziali (Indie orientali olandesi, Singapore, Birmania e Giava), l’avanzata giapponese fu bloccata dagli Stati Uniti con due grandi battaglie aeronavali, del Mar dei Coralli (4-8 maggio 1942) e delle isole Midway (4-6 giugno). Nel corso di quest’ultimo scontro le forze giapponesi dell’ammiraglio Yamamoto, che intendevano occupare l’atollo di Midway, vicino alle isole Hawaii, furono pesantemente sconfitte dalla flotta americana, che pose così fine all’espansione giapponese verso est. Nel mese di agosto i marines americani sbarcarono a Guadalcanal, nelle isole Salomone.

L’Africa settentrionale
In Africa settentrionale, nella primavera del 1941 l’arrivo dell’Africa Korps al comando del generale Erwin Rommel aveva consentito alle truppe italo-tedesche di contrattaccare, senza tuttavia riuscire a conquistare la piazzaforte di Tobruk. L’offensiva dell’Asse riprese nel maggio 1942, portando le truppe fino alle porte di Alessandria d’Egitto, ma la tenace resistenza inglese ne arrestò l’avanzata a El-Alamein. In autunno, il generale inglese Bernard Law Montgomery iniziò la controffensiva e nel novembre 1942 (seconda battaglia di El-Alamein) le truppe italo-tedesche furono costrette a ripiegare. Intanto, un corpo di spedizione anglo-americano sbarcava in Marocco e in Algeria (8 novembre), raggiungendo i confini della Tunisia, occupata da truppe dell’Asse.

La battaglia di Stalingrado
Tra la primavera e l’estate del 1942 l’attività sul fronte orientale aveva visto le truppe tedesche occupare la penisola di Crimea e Sebastopoli, quindi puntare verso il Caucaso e il fiume Don (raggiunto il 4 luglio); nel mese di agosto erano stati raggiunti i bacini industriali del Donec, del basso Don e del Caucaso occidentale. Il Volga venne raggiunto, a nord e a sud, tra settembre e ottobre, provocando l’accerchiamento della città industriale di Stalingrado, che tuttavia resistette alla forte pressione nazista.
La grande controffensiva sovietica scatenata sul finire dell’anno lungo tutto il fronte meridionale provocò un capovolgimento fondamentale nello sviluppo di tutta la guerra. I Russi sfondarono le linee tedesche a nord e a sud di Stalingrado, oltrepassando il Don e accerchiando a loro volta l’armata del generale Friederich von Paulus a Stalingrado. La disfatta dell’Asse coinvolse anche l’ARMIR (Armata Italiana in Russia), forte di 230 000 uomini male attrezzati, schierati lungo la linea del Don.

La tragedia dell’ARMIR

L’Armata Italiana in Russia (ARMIR) fu impegnata sul fronte sovietico meridionale tra il 1942 e il 1943. Costituita nel giugno del 1942 da Mussolini contro il parere dei militari, e comandata del generale Italo Gariboldi, incorporò il corpo di spedizione già inviato nell’agosto del 1941 (CSIR) e fu dotata di mezzi e armi antiquati e insufficienti. Comprendeva il corpo d’armata alpino (divisioni Tridentina, Julia e Cuneense), il secondo corpo d’armata (divisioni Cosseria, Ravenna e Sforzesca), il XXXV corpo d’armata (ex CSIR, con le divisioni Celere, Duca d’Aosta, Pasubio e Torino) e la divisione Vicenza nelle retrovie.

Le truppe italiane, schierate lungo il corso del fiume Don, furono investite dal- l’offensiva sovietica del dicembre 1942. Mentre le divisioni di fanteria poterono ritirarsi entro i primi di gennaio del 1943, il corpo d’armata alpino ricevette l’ordine di ripiegare solo a metà gennaio, quando era ormai completamente accerchiato. Dovette quindi aprirsi la strada della ritirata combattendo, marciando per centinaia di chilometri nel gelido inverno russo. Su 230 000 uomini, di cui 7000 ufficiali, le perdite ammontarono comples- sivamente a 84 300 uomini tra caduti e dispersi; di questi, più di 50 000 morirono nei campi di prigionia sovietici.

1943: la fine del Fascismo

Sul fronte africano, nei primi mesi dell’anno le truppe italo-tedesche, abbandonata Tripoli, si ritirarono in Tunisia. Attaccate a nord dagli Americani provenienti dall’Algeria e a sud dagli Inglesi, le forze dell’Asse in Africa settentrionale si arresero nel corso del mese di maggio.

Intanto, mentre le forze russe, dopo la vittoria a Stalingrado, rompevano il fronte in più punti avanzando verso occidente, gli Alleati misero a punto i loro piani d’azione nel corso di una serie di conferenze, prima a Casablanca (14-27 gennaio), quindi a Mosca (19 ottobre-1° novembre) e a Teheran (28 novembre-1° dicembre). A Casablanca venne deciso, tra l’altro, lo sbarco in Sicilia.

Il patto tedesco-sovietico

Nel marzo 1939 Hitler sollevò anche la questione di Danzica (dichiarata città libera dal trattato di Versailles ma rivendicata dalla Germania), e del corridoio polacco che isolava la Prussia orientale. Francia e Gran Bretagna decisero di appoggiare la Polonia, mobilitando gli eserciti.
Intanto, i ministri degli esteri italiano e tedesco avevano firmato il Patto d’acciaio (22 maggio 1939) con cui le due potenze si promettevano aiuto reciproco in caso di guerra. Invano Francia e Inghilterra tentarono di trovare una linea comune con l’URSS per isolare Hitler. Stalin, temendo le ambizioni tedesche sull’est europeo, siglò con Hitler un trattato di non aggressione (23 agosto) e un accordo per la spartizione della Polonia.

L’Annessione dell’Austria alla Germania

L’Anschluss e la conferenza di Monaco
La deboli reazioni delle potenze occidentali e la politica di distensione (appeasement) praticata dalla Gran Bretagna del primo ministro Chamberlain indussero Hitler a occupare l’Austria (Anschluss, 12marzo1938). Ancora una volta le diplomazie europee non reagirono.
Pochi mesi dopo la Germania aprì una crisi internazionale per la questione dei Sudeti, in Cecoslovacchia, dove viveva una forte minoranza tedesca. Per risolverla, Mussolini, pressato da Chamberlain, indisse la Conferenza di Monaco (29-30 settembre 1938), cui partecipò anche la Francia, ma da cui fu esclusa la diretta interessata, cioè la Cecoslovacchia: le richieste di Hitler furono soddisfatte.

La Germania ebbe i Sudeti (1° ottobre), Polonia e Ungheria altre piccole porzioni di territori cecoslovacco.
Meno di sei mesi dopo (marzo 1939) Hitler infranse gli accordi di Monaco e occupò Praga costituendo il protettorato di Boemia e Moravia; la Slovacchia nominalmente indipendente, divenne un satellite della Germania.
L’Italia approfittò della situazione per occupare l’Albania (7 aprile 1939).

Anni ’30 in Europa

Il totalitarismo

Il concetto di totalitarismo riprende l’espressione “Stato totalitario” con cui si designava sotto il fascismo lo Stato corporativo. Con esso si definiscono i regi- mi antidemocratici sviluppatisi nel corso del XX secolo (Nazismo, Fascismo e Comunismo), caratterizzati dalla mancanza di controllo delle istituzioni rappresentative sul governo, dall’assenza di libertà di stampa e associazione, e dalla martellante mobilitazione ideologica delle masse attraverso una costante opera di propaganda politica. In sostanza, nello Sta- to totalitario esiste una sola volontà politica riconosciuta alla quale occorre conformarsi. Tutte le opposizioni sono eliminate anche violentemente dall’apparato poliziesco del regime. Inoltre, in esso vige la completa deresponsabilizzazione etica degli individui nell’esecuzione delle direttive del potere, mentre è portata all’estremo la contrapposizione frontale ai principi del pluralismo democratico liberale.

La guerra civile spagnola
La Repubblica spagnola, proclamata nel 1931, si trovò quasi subito in balia di partiti caratterizzati da una forte connotazione estremista. La destra governò nel 1934-35 reprimendo duramente alcuni scioperi. Un Fronte popolare com- posto da repubblicani, socialisti e comunisti, vinse invece le elezioni del 1936. Ma le posizioni anticlericali del nuovo governo suscitarono le proteste della coalizione sconfitta. Nel luglio 1936, dopo l’uccisione del leader di destra José Calvo Sotelo ad opera di simpatizzanti socialisti, le truppe del generale Francisco Franco di stanza nel Marocco Spagnolo insorsero. In breve la rivolta si estese a tutto il Paese dando inizio alla guerra civile tra franchisti e repubblicani. L’Italia inviò a Franco divisioni di volontari fascisti, la Germania massicci aiuti militari; l’URSS offrì invece il proprio sostegno ai repubblicani, coadiuvati da brigate internazionali di volontari. La sproporzione di forze a favore dei militari insorti e i profondi contrasti tra comunisti e socialisti portarono Franco alla vittoria (marzo 1939).
L’alleanza tra Germania e Italia ne uscì rafforzata (con il perfezionamento dell’Asse Roma-Berlino, esteso nel 1937 al Giappone), mentre la Francia era accerchiata da un blocco totalitario.

Il NAZISMO

Sul finire degli anni ’20 i tentativi di stabilizzare politicamente
ed economicamente la repubblica di Weimar furono parzialmente vanificati dalla crisi scatenata dal crollo di Wall Street del 1929, i cui effetti, in termini
di recessione economica e disoccupazione, si fecero sentire rapidamente
su tutto il continente europeo. In Germania l’esasperazione di ampi strati
della popolazione fu sfruttata abilmente dal partito nazionalsocialista.
Dopo il fallito putsch di Monaco del 1923, Hitler aveva esposto nell’opera 
Mein Kampf (1925-27) le sue teorie: promuovere una rinascita spirituale tedesca basata sulla revisione del trattato di Versailles, fondare il Terzo Reich unificando tutti i territori europei con popolazioni tedesche (Grande Germania), superiorità della razza ariano-germanica e lotta all’ebraismo, inteso come capro espiatorio dei mali della società (da esso, secondo la concezione nazista, si erano generati il marxismo, il liberalismo e la democrazia). Nominato cancelliere nel 1933, Hitler procedette in tempi rapidi allo scioglimento
dei partiti (tranne quello nazionalsocialista), alla creazione di un forte apparato poliziesco e, attraverso una capillare opera di propaganda, all’organizzazione di un vasto consenso popolare attorno alla nuova ideologia.
Nel 1935 venne introdotta la legislazione antisemita, mentre l’economia
del Paese fu sottomessa alle esigenze di riarmo.

La crisi della repubblica di Weimar

Fallito il golpe del 1923 che lo aveva visto coinvolto, Adolf Hitler era stato arrestato; dopo aver scontato pochi mesi di detenzione, tornò all’attività politica per fare del Partito Nazionalsocialista Operaio (NSDAP), di cui era il capo o führer, una forza legale.

Nel frattempo la Repubblica di Weimar tentava di conso- lidarsi. Gustav Stresemann, titolare del dicastero degli esteri dal 1923 al 1926, guidò la politica della Germania verso la collaborazione internazionale (Trattato di Locarno, 1925) e all’ingresso nella Società delle Nazioni.

Sul piano strettamente economico gli Stati Uniti, per con- sentire alla Germania di pagare l’indennità di guerra (132 miliardi di marchi oro), offrirono ingenti prestiti attraverso il piano Dawes (1924). L’industria tedesca riprese così fiato. Il 28 febbraio 1925 morì il presidente Ebert (eletto nel 1919 a Weimar): gli successe il conservatore Hindenburg.

Ma proprio mentre il Paese sembrava aver imboccato la via della ripresa, lo scoppio della crisi economica mondiale del 1929 annullò gli effetti positivi dei piani per il pagamento delle riparazioni e riaccese le tensioni sociali, facendo salire i disoccupati a oltre sei milioni.

L’esasperazione suscitata in vasti strati della popolazione fu sfruttata politicamente dai nazionalsocialisti. Il partito nazista fece breccia soprattutto nella classe media. Alle elezioni del 1930 ottenne 107 seggi divenendo il secondo partito del Paese. Da allora ampliò la sua base elettorale tra i lavoratori industriali e gli impiegati statali grazie all’abile sfruttamento dei mezzi di comunicazione e propaganda, ma anche intimorendo gli avversari con la violenza delle SA (Sturmabteilungen), le cosiddette “camicie brune”, formazioni di tipo paramilitare create nel 1921 da Hitler. Alle elezioni del luglio 1932, con 230 deputati la NSDAP divenne il più forte partito del Reichstag. Il 30 gennaio 1933 il presidente Hindenburg offrì a Hitler il cancelliera- to: finiva la Repubblica di Weimar.

Il nazismo al potere

Il leader nazionalsocialista guidò fino alle elezioni del mar- zo 1933 un governo di coalizione conservatore. Il 14 lu- glio 1933, chiesti e ottenuti dal Parlamento tutti i poteri, il governo emanò una legge che faceva del Partito Nazio- nalsocialista l’unico partito della Germania: iniziò così la dittatura nazista. Fu quindi costituito un forte apparato po- liziesco, con la Gestapo (Geheime Staats-Polizei, polizia di Stato segreta) e le SS (Schutzstaffeln, guardia personale di Hitler), che si affiancarono alle SA. Quando le SA pretesero di sostituire l’esercito nazionale, costituendo di fatto un potere autonomo sottratto al controllo dello Stato, Hitler ne fece liquidare i capi (il 30 giugno 1934, la cosiddetta “notte dei lunghi coltelli”). Il 2 agosto 1934 Hindenburg morì e Hitler fu proclamato cancelliere e presidente del Terzo Reich (dopo quello di Ottone il grande, nel X secolo, e l’impero tedesco proclamato nel 1871).

Prese così il via la definitiva nazificazione del Paese e l’iden- tificazione della Germania con il nazismo. Il nucleo centra- le dell’ideologia era costituito dal concetto di superiorità della razza ariana, che avrebbe dovuto dominare il mondo e asservire gli appartenenti ad altre razze. Il razzismo si tra- dusse quindi nelle Leggi di Norimberga (1935) che ridu- cevano i diritti civili, vietavano i matrimoni tra ebrei e non ebrei e avviavano la persecuzione antisemita. Un’accelera- zione della campagna antiebraica si ebbe con la “notte dei cristalli”: tra il 9 e il 10 novembre 1938, dopo l’assassinio di un diplomatico tedesco a Parigi per mano di un cittadino di origini ebraiche, in tutta la Germania vi furono devasta- zioni di proprietà ebraiche, assalti a sinagoghe e uccisioni. Nello stesso anno Hitler iniziò a esprimersi sull’esigenza di trovare una soluzione definitiva (la “soluzione finale”) al problema ebraico.

Altro aspetto determinante dell’ideologia nazionalsocia- lista era il führerprinzip (principio del führer), secondo cui la suprema istanza dello Stato era la volontà stessa di Hitler, a cui tutto, compresa la legge scritta, doveva essere subordinato.

La stampa e la cultura venne messa sotto controllo dal mi- nistro della propaganda Joseph Goebbels. Furono stabiliti concordati con la chiesa cattolica e con le chiese protestan- ti. Gli oppositori furono internati nei campi di concentra- mento. L’economia del Paese fu posta al servizio dello Stato che procedette a un forte riarmo in vista della conquista dello “spazio vitale” nei territori orientali.

L’alterazione del quadro internazionale
In ambito internazionale, l’avvento del nazismo segnò una prima crisi degli equilibri europei: nel 1933 la Germania si ritirò dalla Società delle Nazioni; nel 1934 Hitler favorì un tentativo di colpo di Stato filonazista in Austria (che fallì, ma in cui rimase ucciso il cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss).

L’URSS e lo Stalinismo

Morto Lenin, all’interno del partito comunista sovietico si sviluppò un’aspra lotta per la successione. Su tutti emerse Stalin, che nel giro di pochi anni riuscì a liquidare i principali fautori della rivoluzione d’ottobre e a imporre
il proprio potere personale. Forte dei metodi dittatoriali e polizieschi ereditati dal suo predecessore, Stalin accantonò le ambizioni di esportare

la rivoluzione nel resto del mondo e concentrò tutti i suoi sforzi nel porre
le basi di un 
poderoso sviluppo economico del nuovo Stato sovietico. Avviò quindi una collettivizzazione forzata dell’agricoltura, che comportò
lo 
sterminio della classe dei piccoli proprietari, i kulaki, e un processo di industrializzazione accelerata basata sui cosiddetti “piani quinquennali”, che davano la preminenza assoluta all’industria pesante. Per consolidare

la propria dittatura, negli anni ’30 lanciò una campagna di epurazione contro i “nemici del popolo”, nel partito, nell’amministrazione statale e nell’esercito. Gli oppositori furono eliminati fisicamente o rinchiusi nei campi di lavoro forzato, i gulag.

Stalin e il “socialismo in un solo Paese”

Con la morte di Lenin nel 1924 la guida dell’Unione So- vietica fu assunta da una direzione collegiale composta da Trotzkij, Kamenev, Zinov’ev e Stalin. Nel PCUS iniziarono però forti contrasti che portarono al potere il georgiano Iosif Vissarionovic Stalin (1857-1953), già assistente di Le- nin e segretario del comitato centrale.

Nato a Gori, in Georgia, nel 1879, in gioventù Stalin era stato istruito in un seminario ortodosso, ma ben presto si era dedicato all’attività rivoluzionaria e fu più volte arrestato dalla polizia. Eletto nel 1912 nel Comitato Centrale del partito bolscevico, aveva poi svolto un ruolo seconda- rio durante la Rivoluzione d’Ottobre. Nel nuovo governo sovietico insediatosi nel 1917 era quindi stato nominato commissario del popolo alle nazionalità.

Tra il 1922, quando ormai le condizioni di salute di Lenin si erano aggravate, e il 1924 assunse progressivamente il controllo dell’apparato del partito. Nel 1924 conquistò la segreteria generale del partito, prevalendo su Trotzkij, il suo avversario più forte, grazie a un’alleanza di potere con Zinov’ev, presidente del Comintern, e con Kamenev, vicepresidente del consiglio. Nel 1925, quando Zinov’ev e Kamenev passarono dalla parte di Trotzkij, Stalin si alleò con la corrente di “destra” del partito incarnata da Nikolaj Bucharin, convinto sostenitore della Nuova Politica Eco- nomica (NEP, varata da Lenin nel 1921). In opposizione alla tesi trotzkista della “rivoluzione mondiale permanente”, Stalin si fece così sostenitore della strategia del socialismo “in un solo Paese”, cioè della possibilità di costruire il socialismo in Unione Sovietica anche senza il diffondersi della rivoluzione nel mondo; il movimento comunista in- ternazionale doveva quindi porsi come obiettivo primario la difesa del nuovo Stato sovietico.

Il regime stalinista

Espulso Trotzkij dal partito nel 1927 (e dall’Unione Sovietica nel 1929), tra il 1928 e il 1929 Stalin sconfisse anche Bucharin e i suoi compagni, imponendo una brusca accelerazione al processo rivoluzionario interno e, contemporaneamente, al consolidamento del regime e del proprio potere personale.

Abbandonata la politica di alleanza con i contadini stabilita dalla NEP, varò il primo “piano quinquennale” (1928-32), che prevedeva l’industrializzazione accelerata del Paese e la collettivizzazione forzata delle terre. Furono istituiti i sovchoz, aziende agricole coltivate direttamente da dipen- denti e funzionari statali, e fattorie cooperative, i kolchoz, in cui i membri potevano disporre di piccoli appezzamenti per uso personale. La resistenza dei contadini a entrare in queste fattorie fu vinta con la massima brutalità, special- mente nei confronti dei contadini piccoli proprietari, i ku- laki: centinaia di migliaia di contadini furono incarcerati, milioni furono deportati, innumerevoli quelli passati per le armi. Di conseguenza si registrò un crollo della produzione agricola (solo negli anni ’50 si ritornò agli indici precedenti la Prima guerra mondiale). Tra il 1932 e il 1933 una carestiaprovocò, soprattutto in Ucraina, la morte di circa 5 milioni di persone.

In campo industriale il primo piano quinquennale portò alla nazionalizzazione del 99% delle fabbriche. Con il piano successivo (1933-1937) l’URSS fu dotata di imponenti apparati industriali nei settori minerario, energetico e dei macchinari, gestiti da uffici di pianificazione centralizzata secondo criteri esasperatamente accentrati. In questi anni la produzione industriale crebbe del 121%. Un terzo piano quinquennale, destinato a sfociare nella realizzazione effettiva del comunismo, non potè essere varato a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale.

Per sostenere lo sforzo di modernizzazione, che andava trasformando radicalmente la struttura sociale del Paese, l’URSS strinse una serie di patti di amicizia e di non aggressione con le potenze occidentali (adesione alla Società delle Nazioni nel 1934), mentre all’interno si accentuò il carattere personalistico (culto della personalità) e repressivo del sistema di potere stalinista: tra il 1936 e il 1939 ogni forma di opposizione e di dissenso, reale o potenziale, venne cancellata assieme a tutti i vecchi esponenti bolscevichi e a gran parte dei quadri dell’industria di Stato e dell’esercito (le cosiddette “purghe” staliniane).

Nei campi di lavoro forzato, i gulag (acronimo di Glavnoye Upravleniye Lagerej, Amministrazione generale dei campi di lavoro), già istituiti nel 1919 e riservati inizialmente ai contadini che si opponevano alla collettivizzazione forzata delle campagne, furono rinchiusi decine di milioni di op- positori politici e di membri di gruppi etnici sospetti.

IL sIsTema repressIvo sovIeTIco

Se già dal 1923 al 1929 Stalin usò mez- zi dittatoriali e polizieschi per rafforzare il potere nelle proprie mani, dopo i succes- si dei piani quinquennali (e conquistato l’appoggio di milioni di comunisti sovie- tici che vedevano in lui il “capo infallibi- le”) intraprese una strategia del terrore contro gli avversari politici. Nel 1934 fu emanato un decreto per cui l’intera fami- glia di un “nemico del popolo” (opposi- tore del regime) poteva essere arrestata. Sempre nello stesso anno, dopo l’assassi- nio del segretario del partito di Leningra-

do, Kirov, polizia e tribunali ebbero la fa- coltà di agire al di fuori della legalità. Nel 1935 fu nominata una commissione per annientare i “nemici” interni al partito. Zi- nov’ev, Kamenev e Radek furono fucilati dopo confessioni estorte con la tortura. Nel 1937 fu ordinata un’epurazione nel- l’esercito. Nel 1938 Stalin fece arrestare e condannare Bucharin. Nel 1940 un si- cario uccise Trotzkij a Città del Messico, dove si era rifugiato. I protagonisti della Ri- voluzione d’Ottobre erano stati completa- mente annientati.

Lo Stato Fascista

A partire dal 1926 furono soppressi i giornali antifascisti, sciolti i partiti, vietato lo sciopero e riconosciuto il solo sindacato fascista; furono anche istituite apposite località di confino per gli oppositori. I parlamentari non fascisti vennero privati del mandato. Fu anche creata una polizia politica (OVRA, Opera Vigilanza e Repressione Antifascismo) e istituito un tribunale speciale per la difesa dello Stato, con esponenti della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN) come collegio giudicante. Fu restaurata la pena di morte.

Il consolidamento del regime e la creazione dello Stato totalitario non comportarono l’annullamento dello Statuto albertino, che formalmente rimase in vigore, bensì un progressivo svuotamento delle funzioni del Parlamento: il capo del governo rispondeva del suo operato esclusiva- mente al re e il potere legislativo era esercitato di norma dal governo.

Mussolini accentuò la struttura autoritaria delle istituzioni emarginando anche i “ras” fascisti e gli squadristi della pri- ma ora e riducendo il ruolo politico del Partito Nazionale Fascista.

La società civile fu controllata in ogni sua manifestazione e le forme di opposizione drasticamente represse, anche se, con il passare del tempo e il con il consolidamento del regime crebbe in modo significativo il consenso, mobilitato da un amplissimo ed efficiente apparato di propaganda.

La soluzione dell’annosa questione romana attraverso i Patti Lateranensi (firmati l’11 febbraio 1929, riconoscevano alla Santa Sede lo Stato della Città del Vaticano, regolavano i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa e stabilivano una convenzione finanziaria) avvicinò al fascismo molti catto- lici, anche se i rapporti con la Santa Sede furono spesso difficili.

Il Corporativismo

Il corporativismo è una dottrina che si propone di organizzare la collettività attraverso associazioni rappresentative degli interessi professionali (corporazioni) e di eliminare, attenuare o neutralizzare per mezzo dell’intervento dello Stato i conflitti sociali. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX si era sviluppato un corporativismo di ispirazione cattolica, caratterizzato da un forte spirito solidarista e interclassista e da un fonda- mentale rifiuto dell’individualismo delle dottrine liberali.

Tra gli anni ’20 e ’40, all’interno del regime fascista si affermò invece un corporativismo “dirigista”, i cui principi generali vennero enunciati nel 1927 dalla Carta del lavoro e istituzionalizzati tra il 1934, con la creazione delle corporazioni (che raggruppavano imprenditori e lavoratori delle diverse categorie), e il 1939, con l’istituzione della camera dei Fasci e del- le corporazioni. Il corporativismo fascista fornì l’esempio (opposto a quello della tradizione cattolica, secondo cui rappresentava potenzialmente una forma di anti-Stato) di associazioni professionali strettamente subordinate allo Stato e capaci al tempo stesso di farsi strumento di controllo politico.

La politica economica
In economia, al liberismo durato fino al 1925 successe l’interventismo statale a sostegno dell’industria. Nel 1927 venne rivalutata la lira (fu fissata a quota 90 la parità con una sterlina) e dopo la crisi del 1929 si avviarono grandi opere pubbliche. Per sostenere le imprese nacquero l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI, 1931,) e l’Istituto di Rico- struzione Industriale (IRI 1933). Dal 1934 fu avviata una politica economica autarchica, tesa a raggiungere una crescente indipendenza rispetto all’estero, riducendo le importazioni e aumentando le esportazioni.
L’ideologia fascista si consolidò in senso nazionalista, corporativo, ma anche ruralista e familista (con piani di boni- fica e una politica di espansione demografica): nell’esaltazione della novità dell’uomo fascista e della sua sintesi vitale attivista e volitiva furono così travasati i valori tradi- zionali della società borghese.

I primi passi in politica estera
Nel corso degli anni ’20 Mussolini perseguì una politica estera piuttosto cauta e di impostazione filobritannica. Nel 1924 il Patto di Roma con la Iugoslavia portò Fiume all’Italia mentre nel 1927 Mussolini impose sull’Albania una sorta di protettorato politico-economico.
Tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 l’Italia avviò un’azione diplomatica antifrancese nell’area danubiano- balcanica, appoggiando il revisionismo di Austria e Ungheria (sfociato nel 1934 nel cosiddetto Patto a Tre).

L’ITALIA FASCISTA

Il fascismo è stato l’elemento caratterizzante della storia italiana dagli anni immediatamente successivi alla fine della Prima guerra mondiale fino al 1945. Fondato da Benito Mussolini, già esponente socialista espulso dal partito per le sue posizioni interventiste e propugnatore di vaghe idee su un nuovo assetto sociale estraneo al conflitto di classe, il movimento fascista

si caratterizzò per lo spirito fortemente nazionalista e per un attivismo che
si proponeva come alternativo alla debolezza dei governi liberali. Capace
di intercettare gli umori di ampi strati della borghesia, preoccupati dal sovversivismo socialista e sindacale dell’immediato dopoguerra, si trasformò da movimento rivoluzionario dominato dalle formazioni squadriste in partito d’ordine. Con la marcia su Roma, nell’ottobre del 1922, le istituzioni e la monarchia cedettero alle pressioni delle camice nere e Mussolini fu incaricato di formare il governo. Da quel momento il regime si sarebbe progressivamente consolidato, prima attraverso le intimidazioni durante la campagna elettorale del 1924, conclusesi con l’assassinio Matteotti, poi con una completa svolta autoritaria a partire dal 1925, che comportò l’abolizione dei partiti, la censura sulla stampa, il divieto di sciopero e l’istituzione di una polizia politica segreta. Grazie a uno spregiudicato impiego della propaganda, negli anni ’30 il regime riuscì a veicolare nei suoi confronti anche un diffuso consenso.

Dalla fondazione dei Fasci al 1922

Nel 1919 Mussolini fondò a Milano i Fasci di combattimento, una formazione politica che raccoglieva interventisti rivoluzionari, ex combattenti (soprattutto arditi), futuristi, repubblicani e anarcosindacalisti, accomunati dalla richiesta di una politica estera più “dinamica” e da istanze di rinnovamento sociale. Immaginato da Mussolini come polo di riferimento per la sinistra interventista, nei mesi successivi il movimento apparve però vitale solo a Milano, dove alle elezioni del 1919 subì comunque una bruciante sconfitta.

Mussolini non scomparve tuttavia dalla scena politica, grazie al sostegno portato all’impresa di D’Annunzio a Fiume e alla ripresa di parole d’ordine nazionalistiche di facile presa nell’atmosfera della “vittoria mutilata”. Il fascismo rivoluzionario delle origini si trasformava intanto in una for mazione impegnata a ripristinare l’ordine sociale turbato

dal sovversivismo socialista: nelle campagne dell’Emilia e della Bassa Padana si sviluppò un fascismo agrario, finanziato dai proprietari terrieri, basato su Squadre d’Azione che realizzavano spedizioni punitive nei confronti delle organizzazioni politiche sindacali e delle cooperative socialiste e popolari. Anche i ceti medi cittadini colpiti dall’incertezza del dopoguerra individuarono nel fascismo lo strumento adatto per riprendere nella società italiana quel ruolo che le vicende del “biennio rosso” avevano fatto perdere loro. Per parte sua, lo Stato liberale si limitò a cercare di incanalare nell’ambito istituzionale il movimento fascista, nella speranza di limitarne le manifestazioni violente e contenerne la spinta eversiva.

Mussolini giocò abilmente su questo tentativo di recupero legalitario del movimento (ad esempio, proclamando ufficialmente l’accettazione della monarchia), tanto che nell’aprile del 1921 fu eletto in Parlamento con altri 34 deputati, inseriti da Giolitti nelle liste dei “blocchi nazionali” varate per contrastare l’ascesa dei socialisti e dei popolari. Stipulato un trattato di pacificazione con le sinistre (3 agosto 1921) per la cessazione delle violenze squadriste, e cambiato nome al movimento (che ormai contava circa 300 000 iscritti) in Partito Nazionale Fascista (durante il Congresso di Roma del novembre 1921), Mussolini dedicò i suoi sforzi alla conquista del potere, cercando un recupero legalitario del movimento. Caduto il governo Giolitti (giugno 1921), perché le recenti elezioni non avevano dato la maggioranza sperata allo statista piemontese, il regime liberale appariva in piena crisi. Il governo fu affidato prima a Ivanoe Bonomi e poi a Luigi Facta, stretto colla- boratore di Giolitti. Sulla scia dell’esaurimento dei moti operai anche le sinistre erano profondamente divise tra socialisti massimalisti, comunisti e socialisti unitari.

La marcia su Roma
I fascisti ruppero quindi gli indugi e al congresso di Napoli (24 ottobre 1922) Mussolini diede il via alla marcia su Roma per reclamare responsabilità di governo. Provenienti da tutta Italia, le squadre fasciste, organizzate dai “quadrumviri” Italo Balbo, Michele Bianchi, Emilio De Bono e Carlo Maria De Vecchi, si diressero il 28 ottobre verso la capitale con l’intenzione di far cadere il governo Facta. Il re rifiutò di firmare il decreto per lo Stato d’assedio e la pressione sulle istituzioni si concretizzò nella nomina di Mussolini a capo del governo, il 30 ottobre 1922.

Il fascismo al potere

Mussolini formò un governo di coalizione con popolari, nazionalisti, democratico-sociali, esponenti delle forze armate e indipendenti; per mantenere i contatti tra il suo partito e il governo, istituì il Gran Consiglio del Fascismo (dicembre 1922), un organo che aveva lo scopo di propor- re le leggi costituzionali, di formare la lista dei candidati designati alla Camera e di definire le cariche nel partito. Mussolini riuscì a dimostrare di saper normalizzare la si- tuazione mantenendo il controllo sulle Squadre d’Azione e inserendo gli organismi fascisti nella struttura dello Stato. Fuso il PNF con i partiti nazionalisti, creata una forza di polizia di parte trasformando le Squadre d’Azione in Mili- zie Volontarie per la Sicurezza Nazionale (1923) e fatta approvare una nuova legge elettorale maggioritaria (legge Acerbo), il cosiddetto “listone” fascista (comprendente alcuni dei maggiori nomi della classe dirigente liberale) ottenne alle elezioni del 1924 un clamoroso successo.

La campagna elettorale e le operazioni di voto si tennero però in un clima di violenza, denunciato alla Camera da Giacomo Matteotti, segretario del PSU (Partito Socialista Unitario, nato nel 1922 per iniziativa di Filippo Turati, espulso dal PSI con altri riformisti). Per questa sua denun- cia Matteotti fu rapito e ucciso da sicari fascisti il 10 giugno 1924. Le opposizioni protestarono ritirandosi dall’assemblea e dando vita alla secessione dell’Aventino. La vicenda si chiuse il 3 gennaio 1925: Mussolini, ormai certo di avere in pugno il Parlamento, assunse alla Camera la responsabilità dell’accaduto, liquidando sostanzialmente se non formalmente le libertà statutarie e avviando quella svolta autoritaria che doveva liberarlo definitivamente delle op- posizioni. Furono progressivamente introdotte leggi che attribuivano ampi poteri al capo del governo e che privavano il Parlamento delle sue funzioni. Molti oppositori, tra cui Don Sturzo, Nitti ed esponenti di sinistra lasciarono l’Italia minacciati dalle intimidazioni del regime.

La secessione dell’Aventino

Il termine “Aventino” fu la denominazione assunta dalle opposizioni antifasciste che disertarono le sedute parlamentari all’indomani del rapimento del deputato socialista riformista Giacomo Matteotti (giugno 1924), invocando lo scioglimento della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e il ristabilimento dell’autorità della legge.

L’intenzione degli aventiniani era quella di indebolire il governo fascista impedendone l’attività parlamentare e costringerlo così alle dimissioni. Non tutti gli esponenti dell’antifascismo si dimostrarono però d’accordo:

i comunisti si dissociarono dall’Aventino considerandolo una rinuncia alla lotta contro il regime.
Nonostante una vivace campagna della stampa dell’opposizione e nonostante le difficoltà di Mussolini dopo la scoperta dell’assassinio di Matteotti (il corpo del deputato sarà rinvenuto due mesi dopo il rapimento), l’indifferenza del re Vittorio Emanuele III, l’irresolutezza degli aventiniani e il miglioramento della situazione economica consentirono al governo di ri- prendere in mano la situazione e di eliminare in breve ogni opposizione.