L’ultimo anno di guerra si aprì con la Conferenza di Jalta, tenutasi in Crimea dal 4 all’11 febbraio. Roosevelt, Stalin e Churchill decisero l’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), riservandosi però il diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza, e stabilirono la divisione della Germania in quattro zone di occupazione e lo spostamento verso occidente dei confini sovietici; i tre leader si impegnarono a indire elezioni democratiche nei Paesi liberati. Per il suo andamento complessivo, la conferenza assurse tuttavia a simbolo della divisione dell’Europa in sfere d’influenza e del cedimento di Roosevelt alle mire di Stalin. Sul piano militare, il lancio delle V2 su Londra (l’unica “arma segreta” di Hitler effettivamente realizzata), l’ultima controffensiva tedesca nelle Ardenne (tra dicembre 1944 e gennaio 1945) e l’impiego da parte dei Giapponesi dei piloti suicidi (kamikaze) contro le navi americane non riuscirono a modificare le sorti del conflitto, ormai decise dalla schiacciante superiorità in uomini e mezzi di Ameri- cani, Britannici e Sovietici.
In Italia, le truppe alleate attestate sul Serchio rimasero inattive fino a febbraio. Ai primi di aprile iniziò l’offensiva finale. Tra il 25 e il 26 aprile lo sbandamento delle truppe tedesche e alcuni episodi di insurrezione partigiana portarono alla liberazione del Paese, mentre Mussolini fu catturato e fucilato dai partigiani a Dongo, presso Como (28 aprile 1945), insieme ad altri gerarchi.
Le truppe americane provenienti da occidente e quelle sovietiche provenienti da oriente si incontrarono in Germania, a Torgau, il 25 aprile, sulle sponde del fiume Elba. Il 30 aprile 1945, a Berlino, mentre le truppe sovietiche avanzavano casa per casa, Hitler si suicidò all’interno del suo bunker. La Germania si arrese senza condizioni a Reims il 7 maggio seguente.
I Giapponesi erano in lenta ritirata su tutti i fronti. Ma per gli Stati Uniti, nonostante la metodica avanzata (Iwo Jima e Manila, febbraio; Okinawa, maggio) le operazioni militari si rivelarono più lunghe e sanguinose del previsto.
Il 26 luglio gli Alleati, riuniti nella conferenza di Potsdam per decidere i criteri dei trattati di pace con la Germania e i suoi alleati, intimarono al Giappone la resa incondizionata o la distruzione totale.
Il 6 agosto 1945 il presidente Harry Truman (1945-1953), succeduto a Roosevelt, fece sganciare la prima bomba atomica della storia su Hiroshima, causando 90 000 vittime. L’8 agosto l’Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone. Il 9 agosto un altro ordigno nucleare statunitense colpì Nagasaki. Il Giappone acconsentì a intraprendere trattative di pace, accettando quindi la resa, firmata ufficialmente a Tokyo, a bordo della corazzata americana Missouri, il 1° settembre 1945.
Poco dopo la fine della guerra, concretizzando un progetto
del 1941, fu varato lo statuto definitivo dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite, San Francisco, 26 giugno 1945), istituita per salvaguardare la pace, la libertà e la democrazia nel mondo. Essa, tuttavia, dimostrò subito una
certa debolezza non riuscendo a risolvere i crescenti contrasti tra USA e URSS, i due grandi vincitori del conflitto.
Gli accordi di pace
Le prime spaccature tra le due superpotenze emersero già durante le trattative per gli accordi di pace con Italia, Bulgaria, Romania e Ungheria, Paesi ex-alleati della Germania. I trattati tra i quattro vincitori della guerra e gli sconfitti, a eccezione della Germania, furono avviati nell’estate del 1946 e firmati il 10 febbraio 1947 a Parigi.
Sul confine occidentale l’Italia cedette Briga e Tenda alla Francia. Più ampie le perdite sul confine orientale, con la cessione di Zara, Fiume e dell’Istria alla Iugoslavia. Trieste, rivendicata dagli Iugoslavi, fu organizzata in un territorio libero diviso in due zone (la zona A anglo-americana, la B iugoslava); nel 1954 la zona A sarebbe stata affidata all’Italia. Il trattato impose anche la restituzione delle colonie (Libia ed Etiopia), di Rodi e del Dodecaneso (queste ultime a vantaggio della Grecia).
Bulgaria, Romania, Ungheria e Finlandia, occupate dall’Armata Rossa, si piegarono a trattati rispondenti alle esigenze di Mosca. L’URSS ottenne il controllo sui Paesi baltici, inglobò la Carelia (a spese della Finlandia) e ottenne dalla Polonia le regioni di Bielorussia e Ucraina, provocando così lo spostamento della Polonia verso occidente e la conseguente annessione, da parte di quest’ultima, di vasti territori tedeschi (Pomerania, Slesia e parte della Prussia Orientale). Tali modifiche di confine causarono l’espulsione di milioni di cittadini tedeschi verso occidente.
In Asia, il Giappone perse tutti i possedimenti cinesi, Formosa, Sahalin e la Corea, e fu sottoposto al controllo politico-militare statunitense. Il governo di occupazione retto dal generale americano Douglas MacArthur varò una nuova costituzione (1946) e intervenne a fondo nel settore economico (scioglimento dei maggiori gruppi monopolistici, gli zaibatsu; riforme agrarie). La responsabilità di governo fu di nuovo affidata ai Giapponesi nel 1951. Negli altri territori dell’Estremo Oriente le potenze vincitrici mantennero sostanzialmente il controllo sui rispettivi imperi coloniali.
La guerra fredda
La struttura bipolare delle relazioni internazionali si consolidò rapidamente attorno a USA e URSS, raggruppando attorno ai due poli le potenze minori.
Il peggioramento dei rapporti tra Mosca e Washington e la totale antiteticità tra i rispettivi sistemi economici e socia li, portò a una fase di aperta tensione. Winston Churchill, in un discorso tenuto a Fulton nel marzo del 1946 disse, a proposito della creazione del blocco di Stati comunisti nel Vecchio Continente, che una “cortina di ferro” era calata a dividere l’Europa. Si avviava così un contrasto che avrebbe assunto dimensioni globali tra mondo comunista e mondo liberaldemocratico occidentale.